ROMA – Cronache di fine impero: il governo non governa, l’imperatore non comanda, Pompei è dietro l’angolo e gli ultimi giorni i congiurati affilano le armi. Succede che, vuoi sulle intercettazioni, vuoi sul decreto economico e finanziario, si prepara l’incidente, la trappola finale in Parlamento, dove bastano una decina di deputati per affidare Berlusconi alla Storia. Teatro del complotto un ristorante alla Galleria Sordi, a un passo da Palazzo Chigi. Protagonisti una quindicina di ex democristiani fedelissimi di Scajola, ex potente organizzatore della macchina politica del Pdl. Teorico e guida spirituale Beppe Pisanu, che è da un pezzo che considera questa esperienza di governo conclusa. Dopo aver visto Scajola, confabulato con Veltroni, Pisanu spiegava in Transatlantico: “A forza di gridare che il re è nudo, alla fine il popolo corre a vederlo”. A chi gli faceva presente che i parlamentari della maggioranza tutto sembrano meno che disposti ad abbandonare Berlusconi ed andarsene a casa, Pisanu spiegava paziente: “Proprio perché temono che nel 2012 si andrà al voto, non staranno con le mani in mano e non sono più disposti a seguire il Re nudo”.
In effetti, la decisione, meglio la minaccia di Berlusconi di farsi una lista per conto suo, di duri e puri stretti intorno al simbolo “Forza Silvio”, ha moltiplicato le iniziative, i parlottii, le spinte centrifughe. Gli scajolani sono i più attivi, come carbonari in realtà sono piuttosto esposti, ma presto, molto presto, usciranno definitivamente allo scoperto con un documento molto critico con Berlusconi e con una serie di richieste nei confronti di Alfano. Critiche lesive della maestà del premier e richieste indigeribili per il segretario da poco insediato: il piano è farsi dire no, ma con la consapevolezza che non finirà come finì con Fini un po’ meno di un anno fa.
Gli scajolani agiscono da avanguardia frondista, assicurano che sono molti di più dei 15 riuniti alla Galleria Sordi. La costituzione di gruppi autonomi in Parlamento, fuori dell’orbita berlusconiana, è in già in fase avanzata. Le occasioni propizie per staccare la spina sono già state individuate. La prima, temuta anche da Tremonti, è l’arrivo in Aula del documento economico e finanziario per l’approvazione definitiva. Ma far saltare il banco proprio sulla manovra richiesta dall’Europa gli procurerebbe una sicura patente di “irresponsabili”. Meglio il decreto intercettazioni sul quale, si scommette, sarà imposta la fiducia. Più veloce sarà l’iter della calendarizzazione in aula del provvedimento, più vicina si annuncia la rappresaglia. Se il piano dovesse concretizzarsi la prossima settimana Berlusconi si ritroverebbe senza scudo anti-intercettazioni diretto al Quirinale per passare la mano.
Nel frattempo, tra battute spagnole e sfuriate domestiche, abboccamenti parziali e retromarce invelenite, Tremonti e Berlusconi proseguono la propria guerra privata. Ieri altra lavata di capo del premier al ministro che tuttavia non sente ragioni. Su Grilli, suo candidato alla Banca d’Italia non si è mosso di un centimetro. Oggi il consiglio dei ministri soprassiederà ancora sul decreto sviluppo per non trasformare la riunione nell’ennesimo improduttivo processo al ministro rigorista inflessibile. Ormai nemmeno l’essere definito “tributarista di genio, metà bambino capriccioso e metà colossale imbroglione“, gli fa più né caldo né freddo.
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