“Il posto fisso non è tutto”: l’ultimo messaggio del Papa è rivolto ovviamente ai milioni di precari, per risollevarne lo spirito, per infondergli speranza. Dio viene prima di ogni cosa. Un discorso alto, teologicamente inappuntabile, come è nel suo stile. Ma dopo la “solidarietà” con cui il ministro Gelmini ha liquidato ieri i 200 mila precari della scuola, viene il dubbio che a qualcuno di loro, troppo “zucchero” procuri un po’ di nausea. Sacro e profano, rispetto alla questione del lavoro, sembrano indicare due strade obbligate, sebbene virtuose: “Pregate e rassegnatevi”.
La questione è certamente scivolosissima, interpella l’impegno di una classe dirigente all’altezza della situazione, invoca strategie di lungo periodo e interventi di prima urgenza. I conti sono quello che sono, le certezze di una volta sono infrante da un pezzo. Ma migliaia di lavoratori che galleggiano in un limbo di incertezza e precarietà non meritano risposte meno evasive?
In questo senso si è mosso il quotidiano Avvenire, sollecitando la ministra Gelmini a non eludere il problema. Di più: la Cei la ammonisce a “non speculare” sulla pelle dei ragazzi. Sono parole forti. Però, rispetto a quelle del Pontefice, di cui non potevano essere all’oscuro, abbastanza stridenti. Senza voler pretestuosamente abbassare il livello dei due interventi, la tempistica ricorda quella del poliziotto buono e quello cattivo. La Gelmini, in pratica, riceve allo stesso tempo uno schiaffo dai vescovi e una carezza dal Papa. Una dottrina sociale della Chiesa bicefala, che rassicura ma non si schiera, che bacchetta, ma con tanta comprensione.
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