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Italicum, minoranza Pd non ci sta: “No a 100 capilista bloccati”

di Daniela Lauria |12 Novembre 2014 22:15

Pierluigi Bersani, Gianni Cuperlo, Pippo Civati

ROMA – “No a 100 capilista bloccati”. E soprattutto “non ratificheremo il Patto del Nazareno“. Così la minoranza Pd ribadisce il proprio no alla legge elettorale, così come formulata nell’incontro tra il premier Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. 

Riunitisi alle 19 a Montecitorio, in contemporanea con l’incontro Renzi-Cav e poco prima della direzione Pd, convocata per le 21, la minoranza rossa si schiera in trincea rispetto al Patto del Nazareno e annuncia che non voterà alcuna ratifica a un accordo stretto prima e non dopo essere stati consultati: la direzione andava semmai fatta, viene sottolineato, prima dell’incontro con l’ex Cavaliere.

Le anime della minoranza Pd continuano a tenere il punto in una direzione nella quale, dalla legge elettorale al Jobs Act, il premier-segretario Matteo Renzi dovrà affrontare alcuni dei provvedimenti sui quali gli attriti con la sinistra Dem sono ancora forti. Ed è, ancora una volta, il metodo utilizzato dal segretario – la convocazione di una direzione arrivata 48 ore prima – a far scattare le proteste.

Alla riunione, durata circa due ore, hanno partecipato di fatto i principali ‘big’ del dissenso anti-renziano, a cominciare da quel Massimo D’Alema che, in mattinata, aveva annunciato anche lui la propria assenza in direzione per concomitanti impegni. Ma, oltre all’ex premier, in serata si siedono allo stesso tavolo esponenti delle principali aree della sinistra Dem: dall’ex segretario Pier Luigi Bersani, al capogruppo alla Camera Roberto Speranza, dal ministro Maurizio Martina a Gianni Cuperlo e Pippo Civati. Una riunione che quindi segna il concretizzarsi della ricerca di un fronte comune delle varie aree della minoranza e, al termine della quale, viene posto un primo ‘paletto’ all’accordo Renzi-Berlusconi sulla legge elettorale manifestando “la netta contrarietà ai 100 capilista bloccati”.

Ma se i temi di frizione sono diversi, è il metodo utilizzato da Matteo Renzi a suscitare non poche perplessità. E il primo a manifestarle è Civati, che in mattinata annuncia l’assenza della delegazione che a lui fa riferimento.

“Personalmente, per non mancare di rispetto al Pd ci sarò per ascoltare il segretario – ha assicurato Civati incassando subito la replica del presidente del Pd Matteo Orfini, che cerca subito di spegnere l’incendio:

“La Direzione può essere convocata d’urgenza in caso ciò sia reso indispensabile dall’agenda politica. Spero pertanto che chi ha annunciato di non voler partecipare possa rivedere questa decisione”.

Nel frattempo, tiene banco per tutto il pomeriggio un’altra trattativa tra governo e minoranza: quella sul Jobs Act in commissione Lavoro, dove quasi tutti i componenti Pd presentano un emendamento che, ripercorrendo quanto deciso nella direzione sulla riforma del lavoro è volto ad

“assicurare la garanzia del reintegro nei casi di licenziamenti discriminatori e per quelli ingiustificati di natura disciplinare, previa qualificazione specifica della fattispecie”.

Emendamento sul quale la sinistra Pd continua a promettere battaglia – abbozzando anche un asse con Sel – soprattutto se il governo opterà per mettere la fiducia sul testo uscito dal Senato.

“Non voglio crederlo. Esiste un tema di lealtà verso ciò che decide la ditta e un tema di dissenso nel merito bisogna trovare una chiave, una mediazione”, è l’avvertimento di Bersani.

Mentre Teresa Bellanova, sottosegretario al Lavoro, se da un lato apre a un dibattito rapido sul tema dei disciplinari dall’altro ribadisce la volontà di portare in Aula prima la legge di stabilità e poi il Jobs Act. E, l’impressione, è che se il testo approderà già lunedì e con l’ombra di una fiducia, la minoranza Dem difficilmente alzerà bandiera bianca.

 

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