ROMA – Il governo regge e Matteo Renzi incassa il primo voto sulla fiducia alla legge elettorale. Sono arrivati 352 sì, ne bastavano 316. 207 i voti contro il governo. Significa che Renzi ha, dopo il primo dei tre voti, una maggioranza di 36 deputati. Sopra i 350 di “sicurezza” ma sotto i 369 e 385 raccolti sulle pregiudiziali di ieri prima di porre la fiducia. A questo punto gli altri due voti di fiducia, in programma per giovedì, diventano in qualche modo delle formalità con un ordine di rischio tutto sommato minimo.
Una prima conta del dopo voto fa capire che il governo ha perso per strada più o meno una cinquantina di voti. 38 di questi sono i dissidenti Pd, quelli che alla legge elettorale hanno resistito in tutti i modi fino ad arrivare al voto contrario alla fiducia di oggi. Un dato ricostruito tenendo conto degli assenti giustificati e di chi non ha votato. Trentasei materialmente hanno premuto il “no”, altri due, Roberto Speranza e Guglielmo Epifani erano “in missione” ma si sono pubblicamente espressi per il no. In partenza, infatti, il bacino potenziale di voti del governo era di 405 voti. Per cadere ne avrebbe dovuti perdere circa 90. Ne sono venuti meno poco più della metà: non abbastanza per far cadere Renzi, abbastanza per parlare di una frattura significativa nel partito.
Che il sì fosse nell’aria era chiaro sin da ieri, dopo la votazione sulle pregiudiziali in cui il governo si era attestato stabilmente sopra i 370 sì. Poi, insieme alle contestazioni dell’Aula all’annuncio della fiducia, erano piovuti i vari distinguo all’interno della minoranza Pd con l’annuncio di voto contrario alla fiducia da parte di Pierluigi Bersani, Enrico Letta, Pippo Civati e Danilo Speranza. E un Gianni Cuperlo fortemente in dubbio.
Ma poche ore prima del voto per Renzi era arrivata un’altra buona notizia: la decisione degli esponenti di Area Riformista di votare quasi in blocco la fiducia. In 50 su 70, infatti, scrivono un documento fiume il cui succo è che pur ritenendo la “fiducia un errore” decidono di votarla con buona pace dei capi-corrente Bersani e Speranza. Perché un conto è dissentire in modo evidente a costo zero, un conto è rischiare di andare a casa con labili prospettive di finire nelle nuove liste elettorali. Così, annuncia Matteo Mauri, che quasi tutti voteranno la fiducia perché “far cadere il governo è da irresponsabili”.
Stefano Fassina, un altro dissidente, pallottoliere alla mano e prima del voto aveva parlato di una trentina di dissidenti del Pd pronti a non votare la fiducia. Per far cadere il Governo, che poteva contare più o meno in partenza su 405 sì, ne servivano una novantina. Senza considerare il fattore voto segreto, che quando in ballo c’è la permanenza in Parlamento, spesso fa “miracoli” anche nelle opposizioni dure a parole.
Al voto Sel si è presentata col lutto al braccio. Seguito naturale dello show scenografico iniziato martedì con il lancio di crisantemi. Per loro a morire è la democrazia. Di certo, però, c’è che resta vivo, e più forte, Renzi con il suo governo. Non si può dire lo stesso del Pd, forse. Ma a Renzi, a un passo dal portare a casa la “sua” legge elettorale va benissimo così.