X

Jobs Act: minoranza Pd presenterà documento firmato da 35 parlamentari

di admin |2 Dicembre 2014 12:03

Jobs Act: minoranza Pd presenterà documento firmato da 35 parlamentari (Ansa)

ROMA – Sul Jobs Act è pronto un documento sottoscritto da 35 parlamentari della minoranza Pd. Ne dà notizia l’Ansa riportando le parole del senatore Miguel Gotor (storico, bersaniano, già opinionista su Repubblica) Il documento, spiega Gotor, ha la firma di 26 senatori e 9 deputati, tutti membri della direzione pd.

I 9 deputati firmatari del documento sono tutti membri della Direzione Pd e sono: Stefano Fassina, Micaela Campana, Enzo Amendola, Cesare Damiano, Nico Stumpo, Davide Zoggia, Alfredo D’Attorre, Guglielmo Epifani, Roberta Agostini.

I 26 senatori che hanno firmato il documento sono: Guerra, Gatti, Fornaro, Chiti, Corsini, Gotor, Lai, Migliavacca, Pegorer, D’Adda, Albano, Broglia, Cucca, Dirindin, Filippi, Giacobbe, Lo Moro, Manassero, Manconi, Martini, Micheloni, Mucchetti, Puppato, Sonego, Tronti, Turano.

Nell’aula di Palazzo Madama dovrà essere votata la fiducia posta dal governo sulla delega alla riforma del lavoro (il cosiddetto Jobs Act). La minoranza probabilmente voterà la fiducia ma con questo documento vorrà rimarcare le perplessità su una “delega in bianco” al governo Renzi per legiferare su un tema così delicato come quello del lavoro.

IL DOCUMENTO DELLA MINORANZA. “Voteremo la fiducia al Governo” ma il “ricorso alla fiducia interrompe il dibattito parlamentare e rappresenta le difficoltà del Governo nel permettere un confronto in Parlamento della maggioranza”. Lo afferma Maria Cecilia Guerra presentando un documento della minoranza Pd sul Jobs Act “La fiducia è estranea a un dibattito di merito, è una scelta che pone un parlamentare di fronte ad una responsabilità molto grossa, come si può immaginare di far cadere il Governo in questo momento, con la legge di stabilità alle porte?”, sottolinea Guerra ai cronisti ribadendo una “giudizio non positivo sul ricorso alla fiducia”.

“Vogliamo partecipare alla sfida delle riforme”. Tra i suggerimenti che il documento indica come non accolti nel maxiemendamento del Governo, figurano “alcuni temi cruciali”, si legge nel testo presentato dalla minoranza Democrat. Quattro i punti indicati: “i decreti legislativi per la costruzione di una rete sociale di protezione fatta di strumenti di politiche del lavoro passive, gli ammortizzatori sociali, e attive, i centri per l’impiego, devono precedere quelli sulla modifica delle tipologie contrattuali; non si prevedono adeguate garanzie per evitare l’invasività dei controlli a distanza nei confronti dei lavoratori; manca, soprattutto, una definizione di che cosa si intenda per contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. I nuovi assunti a tempo indeterminato vedranno quindi ridotte le proprie tutele, rispetto ai vecchi assunti, in una misura e per un tempo non definiti; l’emendamento del Governo non raccoglie contenuti essenziali del documento approvato dalla direzione del Pd, nella parte riguardante le tutele nei casi di licenziamenti per motivi disciplinari”.

“Non è nostro interesse aprire una guerra al Pd, Né votare contro il Governo, ma lo è una sintesi positiva sulla riforma del marcato del lavoro. Vogliamo partecipare alla sfida delle riforme”. Lo afferma la senatrice Pd Maria Cecilia Guerra presentando un documento della minoranza Pd sul Jobs Act. “Ci sentiamo responsabili verso il Paese, che vive una profonda crisi economica e di fiducia, un Paese che ha bisogno di un Governo autorevole”, si legge nell’incipit del documento, firmato da 35 parlamentari Democrat

“Non finisce qui” “L’iter della delega non finisce qui. La nostra battaglia ha consentito di conseguire alcuni primi risultati, con una riscrittura della delega che va oltre il testo della commissione. Il testimone passa ora alla camera, dove ci batteremo con determinazione perché la delega faccia ulteriori significativi passi avanti”. Lo si legge nel documento presentato dalla minoranza Pd sul Jobs Act.

OSTRUZIONISMO. La minoranza fa ostruzionismo sul calendario dei lavori. Dopo la fine della Capigruppo che ha fissato il calendario dei lavori sul jobs act per arrivare a votare la fiducia intorno alle 21, i partiti di opposizione nell’aula del Senato stanno facendo ostruzionismo chiedendo di prendere in molti la parola. Sono intervenuti Sel, Lega, Gal, e quasi tutti i senatori M5S hanno alzato la mano per prendere la parola. Di fronte ai mugugni della maggioranza il presidente Grasso ha spiegato che il regolamento prevede che tutti possano prendere la parola sul calendario anche se per un minuto.

LE PAROLE DI GIANNI CUPERLO. “La fiducia sul Jobs Act è stato un errore serio. Riproporre alla Camera una blindatura sarebbe la conferma di una chiusura incomprensibile”. Lo afferma Gianni Cuperlo sottolineando che “compito del Parlamento è confrontarsi per licenziare buone riforme. Nessuno pensa che il mercato del lavoro vada bene com’è. Ma spetta al Parlamento fissare i confini della delega. E sulle norme sul licenziamento, la delega non contiene una sola parola” sbarrando la strada ai decreti attuativi. “Se accadesse – conclude – saremmo davanti a un evidente eccesso di delega”.

Sostiene Cuperlo: “La partita resta aperta. Non si fanno vere riforme puntando sulla divisione del Paese e ora la parola passa alla Camera che va messa nella condizione di discutere e migliorare il testo. Servono risorse certe perché l’impegno sacrosanto a estendere tutele e ammortizzatori abbia gambe per camminare. Mettere al Senato la fiducia sul Jobs Act è stato un errore serio. Compito del Parlamento è confrontarsi per licenziare buone riforme. Nessuno pensa che il mercato del lavoro vada bene com’è. Ma spetta al Parlamento fissare i confini della delega. E sul punto sventolato come un simbolo – le norme sul licenziamento – la delega non contiene una sola parola. Il che – sia chiaro – preclude l’intervento sulla materia attraverso i decreti attuativi. Se accadesse saremmo davanti a un evidente eccesso di delega. Tanto più che prevedere, al termine del triennio di prova, diritti differenti per lavoratori con lo stesso contratto potrebbe sollevare una questione di costituzionalità. Riproporre alla Camera una blindatura della delega sarebbe la conferma di una chiusura incomprensibile. Per altro, e non per caso, alcuni miglioramenti sono stati il frutto anche delle proposte avanzate in queste settimane da noi e altri. Il metodo che annulla la ricerca di buone soluzioni non fa il bene di nessuno. Guardo con rispetto alle scelte dei senatori del mio partito. Come molti di loro resto convinto che la dignità di chi lavora sia un principio da tutelare sempre. La logica del ‘prendere o lasciare’ non fa parte del mio modo di concepire la politica e, per quanto mi riguarda, il giudizio di merito conta. Credo nella disciplina di partito. Nel senso che non c’è partito senza disciplina. Ma neppure può sopravvivere l’appello alla disciplina senza un partito. Con gruppi parlamentari posti dinanzi a diktat o a voti di fiducia. Adesso è tempo di battersi per cambiare le cose che vanno cambiate. Scelga il governo di non erigere totem e si concentri sulle soluzioni, a cominciare dal reperire le risorse necessarie e che risultano ancora insufficienti. Unire il Paese si può. Però bisogna volerlo, mentre procedere a colpi di fiducia è come camminare sull’acqua pensando di non bagnarsi. Che si sappia è riuscito a uno soltanto, ma non era di questo mondo”.

 

 

Scelti per te