Jobs Act non vale per statali. Dipendenti pubblici salvati da Poletti, ira Ncd

di Redazione Blitz
Pubblicato il 27 Dicembre 2014 - 20:36 OLTRE 6 MESI FA
Jobs Act non vale per statali. Dipendenti pubblici salvati da Poletti, ira Ncd

Giuliano Poletti, ministro del Lavoro (foto Ansa)

ROMA – Il Jobs Act non vale per i dipendenti pubblici. Gli statali, dunque, continueranno a godere di leggi diverse rispetto ai lavoratori del settore privato. Ma questo non piace al principale alleato del Pd, cioè il Nuovo Centrodestra di Alfano (che già durante il Consiglio dei Ministri che partorì il testo battagliò con Renzi). Tradotto: chi lavora nella pubblica amministrazione rimane difficilmente licenziabile, perché resterà ancora aggrappato dell’articolo 18 così come è stato fino ad ora. Lo ha assicurato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, intervenuto in merito sul sito Affaritaliani.it:

“Tutta la discussione sulla legge delega è stata fatta sul lavoro privato e quindi non è applicabile al pubblico impiego”.

“Se si vuol discutere del lavoro pubblico in Parlamento c’è una legge delega sulla Pubblica Amministrazione”, aggiunge il ministro.

Formigoni

Sarcastica la reazione di Roberto Formigoni su Twitter: “E così il Jobs Act non vale per i dipendenti pubblici, il settore che ne aveva più bisogno. Il riformismo di Renzi è proprio piccolo piccolo piccolo”.

E Formigoni è del Nuovo Centrodestra, uno dei partiti che maggiormente hanno contribuito alla stesura dell’articolo 18.

Sacconi

A chiedere che la riforma del Lavoro fosse estesa al settore della P.A. era stato un altro esponente di Ncd, Maurizio Sacconi, che tra l’altro in passato era stato anche ministro del Lavoro:

“La riforma del lavoro deve essere applicata anche al pubblico impiego. Quando presentammo questo criterio di delega fummo indotti a ritirarlo dal governo in quanto esso considerava già vigente l’impegno ad omologare lavoro pubblico e lavoro privato”.

“In sede di espressione del parere – aggiunge – dovrà essere confermata la disposizione sul licenziamento collettivo, che già molti nel Pd vogliono togliere. Sarà poi necessario ricondurre a licenziamento discriminatorio ogni considerazione sulla disabilità fisica o psichica. Collocare quest’ultima nel licenziamento disciplinare significherebbe legittimare quelle sentenze che, nel nome di una supposta temporanea depressione psichica, hanno fatto reintegrare lavoratori licenziati per gravi inadempienze. Più in generale rimangono irrisolti i nodi del licenziamento per scarso rendimento e quello della troppo ampia discrezionalità del magistrato con riferimento alla reintegrazione nel caso di licenziamento disciplinare”.