“Legge salva Sallusti: giornali ai giudici”: Libero contro Giornale

Dalla padella alla brace: la legge salva Sallusti renderebbe impossibile il mestiere di giornalista

ROMA – La legge salva Sallusti, quella che doveva abolire l’arresto per la diffamazione a mezzo stampa ed evitare il carcere al direttore de Il Giornale, non avrà più la corsia preferenziale unanimemente auspicata solo pochi giorni fa. Il disegno di legge (a firma Chiti e Gasparri) non sarà più votato in Commissione Giustizia che passa la palla all’Aula: sei parlamentari del centrosinistra hanno ottenuto a maggioranza che la Commissione svolga in questo caso solo funzione referente e non legislativa.

Per Il Giornale è la prova del rapido voltafaccia rispetto al “siamo tutti Sallusti” di poche settimane fa: il provvedimento è stato messo sul binario morto della discussione in Aula e rischia di arrivare tardi e il direttore vede più vicina la galera. Ha commentato infatti il diretto interessato: “Passare dalle mani dei giudici a quelle dei politici è come passare dalla padella alla brace. Basta con questa farsa”. La pubblicazione di facce e identikit dei 6 parlamentari su Il Giornale di oggi (17 ottobre) rafforza il concetto, additandoli quali “signor no” che hanno affossato il ddl e, implicitamente, corresponsabili dell’eventuale carcerazione del direttore.

“Dalla padella alla brace”: è curioso come una frase fatta possa servire per scopi spesso contrastanti. L’attuale direttore di Libero Maurizio Belpietro (ma non c’è la sua fotografia tra i “signor no”) non la pensa come Sallusti e nel suo editoriale di oggi, “La legge  salva Sallusti darà i giornali in mano ai giudici” campeggia un occhiello, guarda caso titolato proprio “dalla padella alla brace”.  Se le proposte depositate diventeranno legge il mestiere di giornalista  da pericoloso (si rischia il carcere) diventa impossibile. Cioè, mentre si sana l’anacronismo e l’illiberalità del carcere per reati di opinione, per effetto dell’introduzione di un limite minimo da 30 mila euro quale risarcimento del diffamato, si autorizza un deterrente straordinario al libero esercizio dell’attività giornalistica.

Riassume bene il concetto l’aneddoto di Belpietro in prima pagina: “Pochi giorni fa un magistrato mi ha detto: se passa la nuova legge sulla diffamazione, voi giornalisti potete chiudere bottega: forse non finirete in galera ma avete finito di fare il vostro mestiere”. Dalla padella alla brace, appunto. Per colpa di una legge che sembra una cura più dannosa della malattia. O delle malattie: perché insieme all’arresto per una diffamazione a mezzo stampa, abbiamo anche un sistema dei media troppo inchinato al volere dei vari potentati, economici e politici. E va considerato l’impatto che una legge del genere, così come è stata impostata, avrebbe su tutta la costellazione di giornali, periodici e siti online che non possono contare su una riserva di denaro imponente e dedicata solo alle cause giudiziarie. Una vera “pulizia etnica”.

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