Gli ulitimi sviluppi li sappiamo: Giorgio Napolitano, fortemente irritato per la richiesta del neo ministro Aldo Brancher di legittimo impedimento, ha scritto una nota aspra e arrabbiata e il ministro è tornato indietro, ha deciso di presentarsi all’udienza del processo Antonveneta il 5 luglio. In Quirinale, però, si respira ancora aria tesa. Al Capo dello Stato non è proprio andata giù tutta questa storia e, come già il pm del processo Bpi, si è sentito preso in giro. Anche perché nemmeno lui, finora, è riuscito a capire quali diavolo siano le deleghe di Brancher. Il decreto del presidente del Consiglio con cui si stabiliscono le deleghe dei ministri senza portafoglio, infatti, non è stato inspiegabilmente ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. E per questo atto non serve la controfirma del Presidente della Repubblica. L’ira di Napolitano, quindi, cresce di ora in ora mentre attende di capirci qualcosa.
Ma la sua irritazione, spiega dalle colonne del Corriere della Sera il direttore Ferruccio de Bortoli, ha un fondamento e radici più radicate. Il fulcro del problema sta nel come è stata presentato al Capo dello Stato la decisione del governo (leggi di Silvio Berlusconi) di fare un nuovo ministro. Il fatto ce lo racconta La Repubblica che parla di una telefonata, risalente a giovedì scorso 17 giugno, fatta dal prode Gianni Letta al Capo dello Stato. Telefonata in cui il sottosegretario illustrava la decisione del governo di nominare un nuovo ministro per il federalismo. Saputa l’insolita decisione, scrive Repubblica, Napolitano chiama subito Berlusconi che gli inizia a raccontare come la nomina di questo Brancher sia tutta politica. Un discorso che, in realtà, non fila nemmeno all’inizio. Scrive Repubblica: “Il presidente del Consiglio spiega che la scelta è tutta di natura politica, la Lega preme per riavere il ministero dell’Agricoltura, lasciato libero da Zaia, e chiede lo spostamento di Galan allo Sviluppo economico. Il premier parla delle difficoltà nei rapporti con l’alleato padano e sostiene, indubbiamente con buone ragioni politiche, che il Pdl non può lasciare nel Nord le questioni agricole al monopolio leghista; gli uomini di Bossi poi controllano tutti gli assessorati regionali. Convincente, però… Scusi, presidente, ma Brancher non è del Pdl? Risposta di Berlusconi: sì, però è l’uomo di collegamento con la Lega, molto vicino a Tremonti e Calderoli. D’accordo, ma le deleghe quali sono? Non si preoccupi, gliele mando subito”.
Repubblica continua raccontando che al Quirinale arriva un testo che Napolitano definisce un “pastrocchio” e nonostante ciò il giorno dopo, venerdì 18 giugno, Aldo Brancher diventa ministro. Ministro per l’Attuazione del federalismo fiscale, un ministro “low cost”, come lo definisce Giulio Tremonti. Ma i nervi di Napolitano sono destinati a tendersi ancora di più. Perché dal pratone di Pontida Umbert Bossi lancia l’anatema (“Di ministro per il federalismo ce n’è uno solo e sono io”) e il giorno dopo Napolitano scopre, a cose ormai fatte, che le attribuzioni di Brancher sono cambiate: non è più ministro per l’attuazione del federalismo ma ora è diventato ministro al decentramento e la sussidiarietà. E questo sempre a parole, perché sulla carta, ovvero in Gazzetta Ufficiale, non c’è ancora il decreto. Dopo di ciò la storia è nota. Brancher chiede il legittimo impedimento nel processo sulla scalata ad Antonveneta, Napolitano, ora veramente adirata, alza il telefono e chiama a Gianni Letta. Poi si mette alla scrivania e scrive la nota che produrrà la marcia indietro del neo ministro.
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