ROMA – Il Governo di Matteo Renzi intende cambiare, anzi “modificherà lo articolo 18” dello Statuto dei Lavoratori, ma, secondo Roberto Mania di Repubblica,
“l’obiettivo è riscrivere tutti gli articoli dello Statuto dei lavoratori del 1970 senza eccezioni. Dunque l’articolo 18, notevolmente depotenziato dalla legge Fornero di due anni fa, non sarà esentato. Tanto più per il valore simbolico che ha quella norma agli occhi della Commissione europea, della Banca centrale di Francoforte e degli investitori. L’articolo 18 serve anche a segnare la discontinuità del governo Renzi rispetto al passato. Ormai è a tutti chiaro che è questo il contesto in cui si gioca l’ennesima partita sull’articolo 18”.
Giusy Franzese del Messaggero di Roma ha idee più precise e vede in un emendamento del Governo e del relatore
“la soluzione per sbloccare l’impasse del Jobs act al Senato sulla vicenda del contratto a tutele crescenti e delle modifiche alla normativa sui licenziamenti”.
C’è ancora tempo, una settimana, per la stretta finale. Giovedì la commissione Lavoro del Senato
“non entrerà ancora nel vivo dell’argomento. Il countdown scatterà la settimana prossima ed è allora che il governo potrebbe calare sul tavolo la sua carta”.
Pietro Ichino (di Scelta civica), primo firmatario dell’emendamento condiviso da tutti i centristi che, di fatto, prevede l’abolizione della tutela della reintegrazione in azienda contro i licenziamenti illegittimi prevista dell’articolo 18 dello Statuto sembra ottimista, dopo il lavoro dietro le quinte svolto nel mese di agosto.
Al centro c’è l’ipotesi del contratto a tempo indeterminato a protezione crescente, in base al quale tutti i nuovi assunti (senza distinzione di età) nel caso di licenziamento vedrebbero riconoscersi solo un’indennità economica proporzionale all’anzianità aziendale (l’articolo 18 rimarrebbe solo nei casi di discriminazione).
Dal Pd, però, almeno per ora, spiega Giusy Franzese,
“da questo orecchio non ci vogliono proprio sentire. La posizione è nota: si al contratto a tutele crescenti, purché duri non più di tre anni. L’articolo 18 quindi verrebbe solo congelato. La convenienza per l’impresa a confermare l’assunzione a tempo indeterminato (dopo i tre anni di ”prova“ ) sarebbe data dal costo più basso (si pensa a sconti sull’Irap) di questa tipologia di contratto rispetto a quello a termine”.
Dice Cesare Damiano del Pd:
“Come si fa a definire ”a tempo indeterminato“ un contratto che consente di licenziare in qualunque momento con un semplice indennizzo economico? È una contraddizione in termini”.
Dal Pd, informa Giusy Franzese,
“arriva anche un altro altolà: niente interventi radicali sullo Statuto. Meno che mai la sua sostituzione con il Codice semplificato. Un altolà condiviso in pieno dalla leader della Cgil, Susanna Camusso, che rilancia chiedendo di «estendere lo Statuto dei lavoratori e le garanzie del lavoro a tutti coloro che non le hanno».
In realtà lo spazio per una mediazione c’è. In ballo ci potrebbe essere una durata un po’ più lunga del periodo di prova, oppure una diversa definizione della platea (è firmato proprio Pd, anche se non condiviso da tutti, un emendamento che prevede «il doppio binario» tra chi entra per la prima volta nel mercato del lavoro e chi deve ricollocarsi)”.
L’importante, conclude Giusy Franzese,
“è fare presto. Senza una scossa salutare il mercato del lavoro resterà impantanato. Il decreto Poletti sui contratti a termine già varato, non è sufficiente. Tant’è che a giugno nelle grandi imprese – comunica l’Istat – l’occupazione è rimasta invariata rispetto a maggio, ma su base annua resta un calo dello 0,8%“.
Anche se ormai è abbastanza chiaro che lo Istat fa un uso politico dei numeri e è impegnato in una guerra del pessimismo contro il Governo Renzi, al punto che il suo nuovo presidente Giorgio Alleva ha dovuto dare una raddrizzata alle interpretazioni del suo Istituto, al limite del Pwb, di fronte a queste notizie preoccupanti, il Governo che fa?
Per ora, secondo Roberto Mania, Matteo Renzi
“e il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, hanno definito una strategia in due tempi: prima una sorta di operazione divulgativa su come agisce l’articolo 18 e, al di là della sua generale funzione di deterrente contro l’eventuale abuso dei licenziamenti, quali fasce di lavoratori protegge; poi sarà individuata la soluzione di merito, tenendo conto nel frattempo dell’andamento della discussione parlamentare. […Però] uno strappo sull’articolo 18 comprometterebbe tutto il resto.
Presentando il programma dei mille giorni, Renzi ha cominciato a circoscrivere la dimensione del problema: ogni anno sono circa tremila i lavoratori che vengono reintegrati dal giudice (per effetto dell’articolo 18) dopo un licenziamento discriminatori su un totale di oltre 22 milioni di occupati e 60 milioni di abitanti. Insomma è una norma che si applica a una minoranza della popolazione”.
Qui Roberto Mania e Matteo Renzi ignorano che spesso le aziende nemmeno ci provano, anche di fronte a casi clamorosi, consapevoli del fatto che si tratta per lo più di cause perse.
Quella di non potere licenziare i fannulloni e gli assenteisti professionali è una delle cause per cui molte aziende italiane preferisco rinunciare a crescere pur di restare sotto il limite dei 15 dipendenti.
Matteo Renzi
“sa anche che più dell’80 per cento delle cause promosse per licenziamento senza giusta causa finisce prima della sentenza con una transazione economica. E questo potrebbe diventare un argomento decisivo per far protendere il governo verso la cosiddetta “soluzione Ichino”, cioè superare definitivamente l’articolo 18 e introdurre in caso di licenziamento illegittimo il pagamento di una indennità crescente con l’anzianità aziendale del lavoratore. In questo caso — peraltro — verrebbero tutelati anche coloro che ora si rivolgono al giudice ma perdono la causa e non vengono reintegrati.
“Il punto è delicatissimo. Nella commissione Lavoro del Senato, infatti, l’esame della delega si è interrotta prima di agosto proprio su questo, con Scelta Civica (il partito del professor Pietro Ichino), Ncd (il partito del presidente della commissione Maurizio Sacconi), i popolari e l’Svp a favore dell’”opzione Ichino” e il Pd a sostegno di una via che ricalca quella proposta dagli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi: contratto a tutele crescenti con l’applicazione dell’articolo 18 a partire dal terzo anno. Da qui riprenderà domani il lavoro dei senatori con l’obiettivo di approvare la delega entro la fine del mese e passare così il testimone alla Camera dei deputati.
“Convitati di pietra in questa disputa sono i sindacati, indeboliti nel loro peso politico e anche divisi specificatamente sull’articolo 18, con Cisl e Uil che non ne hanno mai fatto un totem, e con la Cgil che rilancia proponendo l’estensione a tutti i lavoratori delle tutele previste dalla norma statutaria. Ma i sindacati dovranno pure fare i conti con il probabile ennesimo blocco dei rinnovi contrattuali nel pubblico impiego”.