Lega Nord a processo per rimborsi truffa: chiesti 4 anni per Bossi e 4,6 per Belsito

Lega Nord a processo per rimborsi truffa: chiesti 4 anni per Bossi e 4,6 per Belsito
Lega Nord a processo per rimborsi truffa: chiesti 4 anni per Bossi e 4,6 per Belsito

GENOVA – Quattro anni per Umberto Bossi e quattro anni e sei mesi al suo ex tesoriere Francesco Belsito. Sono le richieste del pm Paola Calleri nel processo sui maxi rimborsi della Lega Nord, alcuni dei quali congelati durante lo scandalo dei fondi neri in Tanzania. Secondo la Procura di Genova, il partito del senatur avrebbe incamerato una valanga di milioni pubblici che non gli spettavano, portando così avanti una presunta truffa ai danni dello Stato. Il pm ha anche chiesto la condanna a cinque anni ciascuno (oltre a una multa da 17 mila euro) per gli imprenditori Paolo Scala e Stefano Bonet, due anni e nove mesi per gli ex revisori contabili Diego Sanavio e Antonio Turci, e due anni e quattro mesi per il terzo revisore Stefano Aldovisi. Chiesta infine la confisca di oltre 56 milioni di euro alla Lega Nord in quanto “percettore delle indebite appropriazioni dei soldi pubblici”.

Bossi, Belsito e i tre revisori sono accusati di truffa ai danni dello Stato perché chiesero e ottennero dal Parlamento oltre 56 milioni di euro che avrebbero usato per scopi personali. Scala e Bonet sono accusati insieme con Belsito di riciclaggio, perché avrebbero collaborato al trasferimento oltreconfine di parte dei soldi ottenuti. Il processo proseguirà il 18 aprile.

Il calcolo deriva dalla somma di due tranche di rimborsi, ottenute secondo l’accusa grazie a certificazioni truffaldine : 40 milioni per il 2008 e il 2009, e altri 16 richiesti per il 2010. Quest’ultimo contributo, congelato durante lo scandalo dei fondi in Tanzania, venne sbloccato nel 2012 grazie alle relazioni favorevoli dei revisori dei conti leghisti  Sanavio, Turci e Aldovisi.

Come ricostruito da Marco Grasso e Matteo Indice sul Secolo XIX:

Era cominciato (quasi) tutto da lì: dai 7 milioni che a Natale 2011 volarono dai conti leghisti alla Tanzania e a Cipro, illuminarono la figura di Belsito e fecero da antipasto all’Armageddon – giudiziario, politico, familiare, sentimentale – delle spese folli che la “family” di Umberto Bossi sosteneva con i soldi del Parlamento. Poi sarebbero venuti l’addio del medesimo Bossi, le ramazzate in pubblico di Maroni, neo leader censore fino all’elezione in Lombardia, e la scalata di Matteo Salvini, mentre Bossi junior detto il Trota decideva di darsi all’agricoltura, per far sbiadire il ricordo delle lauree comprate in Albania. La truffa ai danni dello Stato si materializza per aver chiesto e ottenuto decine di milioni che in teoria dovevano servire per attività politiche e invece finanziarono ben altro. Al solo Belsito si contesta l’appropriazione indebita, per l’uso personale di un po’ dei soldi pubblici che gestiva con disinvoltura.

Un troncone di quest’inchiesta è rimasto a Milano. Ed è quello dedicato ai singoli, e impresentabili, esborsi sostenuti dal cerchio magico di Bossi senior: «Paghiamo anche il gigolò di Rosy Mauro (ex vicepresidente del Senato, ndr)» diceva sempre Belsito intercettato con la mitica segretaria leghista Nadia Dagrada, snocciolando un elenco di benefit a spese dei contribuenti inclusivo pure di auto, case, dentisti, fuochi d’artificio, mutui e sovvenzioni a sindacati padani. Alla sbarra, nel capoluogo lombardo, c’è un po’ di vecchia Lega e ancora Belsito. A Genova l’a ffaire spese è circoscritto alla richiesta “complessiva” delle sovvenzioni a Roma. Altri ragionamenti innesca il filone riciclaggio, il mistero del denaro esportato da Francesco Belsito in posti strani, attraverso società altrettanto sospette e con la sponda di Bonet e Scala. «Ottimi investimenti» è la giustificazione che l’ex tesoriere ripete da sempre. E però incrociando quel fiume di soldi e le inchieste di altre Procure, Reggio Calabria in primis, venne fuori che del tesoro leghista s’interessava l’iscritto al Carroccio Romolo Girardelli detto l’Ammiraglio, uomo di fiducia d’un boss della ’ndrangheta. Non a caso genovese, Girardelli. E non a caso, forse, quando lui e Belsito litigarono venne giù tutto.

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