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Lega Nord: i vent’anni del sogno federalista

di Maria Elena Perrero |24 Gennaio 2011 11:40

Umberto Bossi

Il federalismo compie vent’anni: era l’8 febbraio del 1991 quando, ricorda La Stampa, alla periferia di Milano si teneva il congresso di fondazione della Lega Nord. “Vent’anni di successi”, celebra il quotidiano La Padania, vent’anni di quello che il ministro dell’Interno Roberto Maroni descrive al Corriere della Sera come un “ambizioso progetto politico chiamato Federalismo integrale”. Lo stesso federalismo che è in calendario questa settimana in parlamento.

“Ci sono occorsi dieci anni per arrivare a nascere”, diceva allora il leader Umberto Bossi, come ricorda La Stampa. Allora la Lega Nord era un movimento in cui pochi credevano. Oggi è il partito più vecchio presente in parlamento.

Ieri c’erano Franco Rocchetta, Franco Castellazzi, Marco Formentini, Gipo Farassino. Oggi ci sono Rosy Mauro, Giancarlo Giorgetti, Gian Paolo Gobbo, Roberto Cota, Luca Zaia. Ma il progetto era lo stesso: il federalismo.

In questo ventennio di attesa, scrive la Stampa, “a Umberto Bossi è venuto un coccolone, a Roberto Calderoli il doppio mento, a Maroni i capelli bianchi. Aspettando il federalismo c’è chi se n’è andato come Elisabetta Bertotti, 28 anni allora, la trentina che nel ’92 contendeva il titolo di Miss Lega a Irene Pivetti. Chi è sparito come Riccardo Fragassi, il deputato pisano che s’imparava a memoria tutti i discorsi di Bossi. O come Luca Leoni Orsenigo, il parlamentare del Lago di Como che agitava il cappio nei giorni di Tangentopoli. O come Raimondo Fassa, primo sindaco leghista di Varese, poi eurodeputato, ora libero pensatore nell’Unione Italiana”.

Nei primi anni novanta giravano proclami come “La Lega è contro la partitocrazia e la lottizzazione in Rai, nelle aziende di stato, nelle banche, nella sanità. Noi metteremo i migliori, non i nostri”, o”Nessuno dei nostri dovrà ricoprire una carica elettiva, che sia consigliere comunale o deputato, per più di due volte”.

Poi il neonato partito se la prese con quella che già si profilava come una parentopoli in politica allo stato embrionale. Ma alla fine non fu immune neppure il partito del Senatur.

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