“Vota Lega, vota Gamma”, le ‘ndrine a Varese. La ‘Ndrangheta in Lombardia raccontata da Cesare Fiumi su Sette del Corriere

I “tentacoli” della ‘Ndrangheta sono arrivati fino alla Lombardia. Esponenti della Lega Nord intrattengono rapporti con i boss delle ‘ndrine. Lo ha detto Roberto Saviano a “Vieni via con me”, ma lo ha rivelato soprattutto il pentito Giuseppe Di Bella. I suoi racconti sono finiti nel libro Metastasi, scritto dai due giornalisti di Libero Gianluigi Nuzzi e Claudio Antonelli. Il magazine del Corriere della Sera, Sette, ha pubblicato delle anticipazioni del libro in un articolo firmato da Cesare Fiumi. Tra le altre rivelazioni, Di Bella ha detto che un leghista “di spicco” sia stato spinto dai voti della malavita fino a ricoprire incarichi di governo (si tratterebbe di un ex ministro).

Ecco alcuni estratti dell’articolo di Fiumi.

Vota Lega, vota “Gamma”

“Ora, ad aprire Metastasi a pagina 66, ci at­tendono nuove fiammate, perché Di Bella dichiara a Nuzzi e Antonelli che il suo boss, un pomeriggio di marzo del 1990, alla vigilia del grande exploit della Lega, era in compa­gnia, proprio lì a Lecco, di un giovane (allora) dirigente leghista, uno che ne avrebbe fatta di carriera, nome in codice (nel libro) Gamma: «Franco Coco Trovato aveva scelto il suo cavallo: è Gamma. Lo dice a tutti. Votare Lega, votare Gamma. Se così è deciso, non c’è nulla da discutere». Tanto che Di Bella non si capa­cità perché il clan dovrebbe far votare «quei tipi di polentoni che proprio non mi piaccio­no» e che «hanno questo ritornello contro i meridionali». Ma finirà per farsene una ragio­ne: il suo Franco, il boss, è furbo e «comincia a sellare il puledro quando è ancora troppo piccolo perché qualcuno ci scommetta sopra. Sapendo che poi, se diventa grande e veloce, non ci sarà nemmeno bisogno di rincorrer­lo. Riconoscerà da solo il suo padrone». Per questo, «in almeno altre due occasioni in cui Coco Trovato torna sull’argomento», dice «di votare Lega e andare in giro a fare buona pub­blicità». Quasi a dire, tu la ‘ndrangheta non la vedrai, ma quella vede lontano. E mica finisce qui. Tanto per dare un’idea dell’ambientino, Di Bella spiega pure che «alla Camera di commercio, il direttore (…) aveva un compito ben preciso: facilitare gli amici e le aziende legate al clan». Come rac­conta della sua fulgida carriera di estorsore feroce e di quella volta che lui e il cugino di Coco Trovato prelevarono un ragioniere di Valmadrera, amministratore di un bel po’ di condomini, «un terzo di sua proprietà, che aveva fatto qualche sgarro o forse si è rifiutato di vendere qualche immobile». Lo portarono sul ponte di ferro sull’Adda, gli legarono i piedi a una corda. E continuarono a immer­gerlo nell’acqua, la testa sotto per un minuto ogni volta, finché quello non griderà “basta” e accetterà di firmare certi documenti che l’uomo della famiglia aveva con sé. Usura, pizzo, estorsione, il vocabolario della ‘ndrangheta che fa i soldi veri col traffico de­gli stupefacenti e i grandi appalti – fatturan­do oltre 44 miliardi di euro ogni anno, il 2,9 per cento del Pil nazionale – ma il territorio se lo mangia così: mordendo imprenditori, succhiando esercenti e masticando di politi­ca quanto basta per convivere con chiunque. Anche al Nord. Anche in Lombardia, anzi so­prattutto in Lombardia, la sua seconda casa nell’analisi della Distrettuale Antimafia.

Le ‘ndrine anche a Varese

Scrive Enzo Ciconte in ‘Ndrangheta padana: «Nell’ultimo quindicennio la ‘ndrangheta ha conteso alla Lega il controllo del territorio “padano”. Non è vero che al Nord c’è solo la Lega che controlla il territorio; c’è anche la ‘ndrangheta che, esattamente nelle stesse lo­calità dove c’è un forte insediamento della Le­ga, gestisce potere, agisce economicamente, fa investimenti». E rammenta come la nascita della ‘ndrangheta lombarda sia da retrodata­re al 1955, all’arrivo di Giacomo Zagari dalla Calabria a Varese, dove verrà aperta la prima “locale”. Sì, in quella che, trent’anni dopo, sa­rà la culla della Lega, il primo grande comune amministrato, nonché città natale del mini­stro degli Interni del ’94 – la prima volta al governo – che poi è sempre quello attuale. Insomma, Metastasi un libro che rammenta come al Nord, terra di ‘ndrangheta che disso­da, semina (attentati, rapine, estorsioni, mor­te) e raccoglie miliardi di euro, regni oggi una pace apparente, mentre «per proteggere gli affari, le università private sono frequentate dai rampolli di terza generazione dei vecchi padrini». Una pace fatta anche di accordi tra cosche e turchi per il traffico degli stupefa­centi alle porte di Milano, tra cosche e cinesi per gli esercizi commerciali del Lario. Sì, perché Di Bella incrocia, in trent’anni di onorata società, tutto il peggio di questo Pa­ese, godendosi lo spettacolo dalla prima fila: rifornisce d’armi i brigatisti che nel 1980 si allenano a sparare ai Piani Resinelli; incro­cia Felicetto Maniero e la mala del Brenta; racconta la stagione dei sequestri e il rito di affiliazione; si autoaccusa di aver fatto parte della banda che la notte di San Silvestro del 1997 tentò di trafugare, dal cimitero di Mol-trasio, le ceneri di Gianni Versace, ché in ballo «i soldi erano tanti» e chi provò a ricavarci qualcosa per sé – Agostino Rusconi, compare fraterno di Di Bella – finì con la testa fracassa­ta a Calolziocorte. Un delitto insoluto.

Tra Sicilia e Lombardia

E non manca neppure il traffico d’armi in questo bel ritratto, con una puntata in Sici­lia, terra natale del pentito, per un affare con Giovanni Brusca in persona, quando Di Bella vede quello che non dovrebbe vedere – hanno appena ucciso Falcone e tra poco toccherà a Borsellino – e la rivelazione è talmente cla­morosa che, se nomi e situazioni raccontati in Metastasi non dovessero trovare conferma, rischierebbe di finire in mora tutto l’inconfes­sabile, infine confessato, da Di Bella. Un libro da cui, comunque, si esce pesti, prendendo atto che affari&violenza si sono mangiati l’anima del Paese e, non contenti, rovistano negli angoli: «Li montagna di soldi da riciclare tutti i mesi era enorme. Un fiume di denaro che arrivava dai capi dei paesi che versavano il dovuto a Franco». Il dovuto. Un libro che è un viaggio nell’infanzia di un’in­trusione territoriale e morale che i 300 arresti di luglio (l’inchiesta Infinito di fida Bocassini, a Milano, e Giuseppe Pignatone, a Reggio) mostrano radicata, infiltrata nelle Asl (dentro Carlo Chiariaco a Pavia), nella politica (den­tro il sindaco di Borgarello, Giovanni Valdes), nell’imprenditoria (dentro Ivano Perego della Perego Strade), impermeabile anche ai penti­ti, che son cosa rara quando si parla di ‘ndran­gheta, holding a tra(di)zione familiare. In effetti, a guardarsi intorno, il paesaggio è desolante: solo negli ultimi giorni, a Milano negozianti che denunciano richieste di piz­zo (mentre cade la giunta di Desio, a seguito dell’inchiesta” Infinito”) e gang di calabresi che assaltano e gambizzano i benzinai nel­la Bergamasca, mentre a Bologna arrestano Nicola Acri, killer di Rossano con l’ergasto­lo da scontare, e a Torino si ritrovano tra le mani Domenico Giorgi, boss di San Luca. Per non parlare del Ponente ligure, dove hanno appena scoperto, a Ventimiglia, una nuova intimidazione a colpi di mitra, mentre a Ge­nova i carabinieri hanno messo le manette a uno che indossa la loro stessa divisa, Carme­lo Luciano, uno di Palmi, accusato di essere una talpa delle cosche. Come dire, in ogni area produttiva del Nord, le ‘ndrine hanno residenza certificata. E far fìnta che non sia così non è una grande trovata. Alla fine Di Bella quasi si consola, «perché a volte penso che quelli che ho sputtanato e che sono finiti dentro per droga in fondo se lo meritano. Solo nel processo più grosso ne ho inguaiati 112». Ma non ci consola: «Ho scoperto che i Coco hanno già aperto sei o sette nuovi locali. Sono potenti». E «così io al 99 per cento verrò ucciso. La ‘ndrangheta non si lascia, dalla famiglia si esce solo con i piedi davanti. Te lo giurano, ti ammazzano». Mica solo a Rosarno, a Piatì, a Bovalino. A Lecco. A Varese. E a Milano, a due passi dal Duomo.

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