Legge bavaglio 2013. Le leggi sulla Stampa oggi in vigore

Legge bavaglio 2013. Le leggi sulla Stampa oggi in vigore
Le leggi sulla stampa raccolte da Franco Abruzzo

Le norme di legge esistenti in materia di stampa, cui si riferiscono le modifiche elaborate dalla Commissione giustizia della Camera.

Legge 8 febbraio 1948, n. 47

Articolo 1

Definizione di stampa o stampato. Sono considerate stampe o stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione.  

Articolo  5 

Registrazione.
Nessun giornale o periodico può essere pubblicato se non sia stato registrato presso la cancelleria del tribunale, nella cui circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi.

Per la registrazione occorre che siano depositati nella cancelleria: 1) una dichiarazione, con le firme autenticate del proprietario e del direttore o vice direttore responsabile, dalla quale risultino il nome e il domicilio di essi e della persona che esercita l’impresa giornalistica, se questa è diversa dal proprietario, nonché il titolo e la natura della pubblicazione; 2) i documenti comprovanti il possesso dei requisiti indicati negli artt. 3 e 4; 3) un documento da cui risulti l’iscrizione nell’albo dei giornalisti, nei casi in cui questa sia richiesta dalle leggi sull’ordinamento professionale; 4) copia dell’atto di costituzione o dello statuto, se proprietario è una persona giuridica. Il presidente del tribunale o un giudice da lui delegato, verificata la regolarità dei documenti presentati, ordina, entro quindici giorni, l’iscrizione del giornale o periodico in apposito registro tenuto dalla cancelleria. Il registro è pubblico.

Articolo 8

Risposte e rettifiche.

Il direttore o, comunque, il responsabile è tenuto a fare inserire gratuitamente nel quotidiano o nel periodico o nell’agenzia di stampa le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini od ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale.

Per i quotidiani, le dichiarazioni o le rettifiche di cui al comma precedente sono pubblicate, non oltre due giorni da quello in cui è avvenuta la richiesta, in testa di pagina e collocate nella stessa pagina del giornale che ha riportato la notizia cui si riferiscono.

Per i periodici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, non oltre il secondo numero successivo alla settimana in cui è pervenuta la richiesta, nella stessa pagina che ha riportato la notizia cui si riferisce.

Le rettifiche o dichiarazioni devono fare riferimento allo scritto che le ha determinate e devono essere pubblicate nella loro interezza, purché contenute entro il limite di trenta righe, con le medesime caratteristiche tipografiche, per la parte che si riferisce direttamente alle affermazioni contestate.

Qualora, trascorso il termine di cui al secondo e terzo comma, la rettifica o dichiarazione non sia stata pubblicata o lo sia stata in violazione di quanto disposto dal secondo, terzo e quarto comma, l’autore della richiesta di rettifica, se non intende procedere a norma del decimo comma dell’articolo 21, può chiedere al pretore, ai sensi dell’articolo 700 del codice di procedura civile, che sia ordinata la pubblicazione.

La mancata o incompleta ottemperanza all’obbligo di cui al presente articolo è punita con la sanzione amministrativa da lire 15.000.000 a lire 25.000.000

(1). La sentenza di condanna deve essere pubblicata per estratto nel quotidiano o nel periodico o nell’agenzia. Essa, ove ne sia il caso, ordina che la pubblicazione omessa sia effettuata (2). (1) La sanzione originaria della multa è stata sostituita con la sanzione amministrativa dall’art. 32, l. 24 novembre 1981, n. 689, e così elevata dall’art. 114, primo comma, della citata l. 689/1981. (2) Articolo così sostituito dall’art. 42, l. 5 agosto 1981, n. 416.

Articolo  11
Responsabilità civile.
Per i reati commessi col mezzo della stampa sono civilmente responsabili, in solido con gli autori del reato e fra di loro, il proprietario della pubblicazione e l’editore.
Articolo 12 
Riparazione pecuniaria.

Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, la persona offesa può chiedere, oltre il risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 185 del Codice penale, una somma a titolo di riparazione. La somma è determinata in relazione alla gravità dell’offesa ed alla diffusione dello stampato.

Articolo  13 
Pene per la diffamazione.

Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, si applica la pena della reclusione da uno a sei anni e quella della multa non inferiore a lire 500.000 (1).
(1) La misura della multa è stata così elevata dall’art. 113, secondo comma, l. 24 novembre 1981, n. 689. Per effetto dell’art. 24 c.p. l’entità della sanzione non può essere inferiore a lire 10.000. La sanzione è esclusa dalla depenalizzazione in virtù dell’art. 32, secondo comma, della citata l. 689/1981.
Codice penale
Articolo 36
Pubblicazione della sentenza penale di condanna. La sentenza di condanna alla pena di morte (1) o all’ergastolo è pubblicata mediante affissione nel Comune ove è stata pronunciata, in quello ove il delitto fu commesso, e in quello ove il condannato aveva l’ultima residenza. La sentenza di condanna è inoltre pubblicata, per una sola volta, in uno o più giornali designati dal giudice. La pubblicazione è fatta per estratto, salvo che il giudice disponga la pubblicazione per intero; essa è eseguita d’ufficio e a spese del condannato. La legge determina gli altri casi nei quali la sentenza di condanna deve essere pubblicata. In tali casi la pubblicazione ha luogo nei modi stabiliti nei due capoversi precedenti. (1) La pena di morte è stata soppressa e sostituita con l’ergastolo.
 
Articolo 57
Reati commessi col mezzo della stampa periodica.
Salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione e fuori dei casi di concorso, il direttore o il vice-direttore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo dalla pubblicazione siano commessi reati, è punito, a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura non eccedente un terzo.
Articolo così modificato dalla L. 4 marzo 1958, n. 127.

Articolo 57 bis

Reati commessi col mezzo della stampa non periodica.

Nel caso di stampa non periodica, le disposizioni di cui al precedente articolo si applicano all’editore, se l’autore della pubblicazione è ignoto o non imputabile, ovvero allo stampatore, se l’editore non è indicato o non è imputabile.

Articolo aggiunto dalla L. 4 marzo 1958, n. 127.

Articolo 99
Chi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro, può essere sottoposto ad un aumento di un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo.
La pena può essere aumentata fino alla metà: 1) se il nuovo delitto non colposo è della stessa indole; 2) se il nuovo delitto non colposo è stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente; 3) se il nuovo delitto non colposo è stato commesso durante o dopo l’esecuzione della pena, ovvero durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena.
Qualora concorrano più circostanze fra quelle indicate al secondo comma, l’aumento di pena è della metà.
Se il recidivo commette un altro delitto non colposo, l’aumento della pena, nel caso di cui al primo comma, è della metà e, nei casi previsti dal secondo comma, è di due terzi.
Se si tratta di uno dei delitti indicati all’articolo 407 comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, l’aumento della pena per la recidiva è obbligatorio e, nei casi indicati al secondo comma, non può essere inferiore ad un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto. In nessun caso l’aumento di pena per effetto della recidiva può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo. (1)
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(1) Il presente articolo prima sostituito dall’ art. 9, D.L. 11.04.1974, n. 99, è stato, poi, così sostituito dall’art. 4 L. 05.12.2005 n. 251, con decorrenza dal 08.12.2005. Si riporta di seguito il testo previgente: ” Chi, dopo essere stato condannato per un reato, ne commette un altro, può essere sottoposto a un aumento fino a un sesto della pena da infliggere per il nuovo reato. La pena può essere aumentata fino a un terzo: 1. se il nuovo reato è della stessa indole ; 2. se il nuovo reato è stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente; 3. se il nuovo reato è stato commesso durante o dopo l’esecuzione della pena, ovvero durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena. Qualora concorrano più circostanze fra quelle indicate nei numeri precedenti, l’aumento di pena puo` essere fino alla metà. Se il recidivo commette un altro reato, l’aumento della pena, nel caso preveduto dalla prima parte di questo articolo, può essere fino alla metà e, nei casi preveduti dai numeri 1) e 2) del primo capoverso, può essere fino a due terzi; nel caso preveduto dal numero 3) dello stesso capoverso può essere da un terzo ai due terzi. In nessun caso l’aumento di pena per effetto della recidiva può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo reato. “.
Articolo 594
Ingiuria.
Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire un milione.
Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.
La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a lire due milioni, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato.
Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone.
Articolo 595
Diffamazione.
Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire due milioni.
Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a lire quattro milioni.
Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a lire un milione.
Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.
Codice di procedura penale
Articolo 200
Segreto professionale
1. Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’ obbligo di riferirne all’autorita` giudiziaria; a) i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano; b) gli avvocati, gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici e i notai; (1) c) i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria; d) gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale.
2. Il giudice, se ha motivo di dubitare che la dichiarazione resa da tali persone per esimersi dal deporre sia infondata, provvede agli accertamenti necessari. Se risulta infondata, ordina che il testimone deponga.
3. Le disposizioni previste dai commi 1 e 2 si applicano ai giornalisti professionisti iscritti nell’albo professionale, relativamente ai nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto notizie di carattere fiduciario neIl’esercizio della loro professione. Tuttavia se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l’identificazione della fonte della notizia, il giudice ordina al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni.
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(1) La presente lettera è stata così sostituita dall’art. 4, L. 07.12.2000, n. 397 (G.U. 03.01.2001, n. 2) a decorrere dal 18.01.2001. Si riporta di seguito il testo precedente: ” b) gli avvocati, i procuratori legali, i consulenti tecnici e i notai.”
Articolo 427
Condanna del querelante alle spese e ai danni
1.Quando si tratta di reato per il quale si procede a querela della persona offesa, con la sentenza di non luogo a procedere perche` il fatto non sussiste o l’ imputato non lo ha commesso il giudice condanna il querelante al pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato. (1) (2)
2.Nei casi previsti dal comma 1, il giudice, quando ne e` fatta domanda, condanna inoltre il querelante alla rifusione delle spese sostenute dall’imputato e, se il querelante si e` costituito parte civile, anche di quelle sostenute dal responsabile civile citato o intervenuto . Quando ricorrono giusti motivi, le spese possono essere compensate in tutto o in parte.
3.Se vi e` colpa grave, il giudice puo` condannare il querelante a risarcire i danni all’imputato e al responsabile civile che ne abbiano fatto domanda.
4.Contro il capo della sentenza di non luogo a procedere che decide sulle spese e sui danni possono proporre impugnazione, a norma dell’articolo 428, il querelante, l’imputato e il responsabile civile.
5.Se il reato è estinto per remissione della querela, si applica la disposizione dell’articolo 340 comma 4 .
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(1) E’ costituzionalmente illegittimo l’art. 427, comma 1, nella parte in cui prevede, nel caso di proscioglimento dell’imputato per non aver commesso il fatto, che il giudice condanni il querelante al pagamento delle spese anticipate dallo Stato anche quando risulti che l’attribuzione del reato all’imputato non sia ascrivibile a colpa del querelante. (C.cost. 02.04.1993 – 21.04.1993, n. 180 G.U. 28.04.1993, n. 18, prima serie speciale ).
(2) E’ costituzionalmente illegittimo l’art. 427, comma 1, nella parte in cui prevede, nel caso di proscioglimento dell’imputato perche` il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto, che il giudice condanni il querelante al pagamento delle spese anticipate dallo Stato anche in assenza di qualsiasi colpa a questi ascrivibile nell’esercizio del diritto di querela. (C.cost. 18.11.1993 – 03.12.1993, n. 423, G.U. 09.12.1993, n. 50, prima serie speciale ).

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