A palazzo della Corte Costituzionale il barometro segna tempesta per la legge sul ‘legittimo impedimento’ che mette al riparo il premier Silvio Berlusconi, almeno fino ai prossimo dieci mesi, dalla ripresa dei tre processi milanesi a suo carico (Mills, Mediaset e Mediatrade).
L’ipotesi che circola con maggiore insistenza in serata è che la maggioranza dei giudici (almeno otto, ma potrebbero diventare nove) starebbero convergendo per far cadere lo ‘scudo’ su due punti, di cui uno fondamentale perche’ comporterebbe la restituzione ai giudici di Milano del potere di decidere, volta per volta e nel merito, sugli impedimenti addotti dal premier a non presentarsi in udienza.
Indeterminatezza e automatismo della norma sono infatti i due nodi su cui il giudice relatore della causa, Sabino Cassese, ha chiesto chiarimenti in udienza pubblica ai legali del premier, Niccolo’ Ghedini e Piero Longo, nonche’ agli avvocati dello Stato, Michele Dipace e Maurizio Borgo per conto della presidenza del Consiglio. Le risposte non avrebbero convinto pienamente la gran parte delle toghe dell’Alta Corte. Tanto che tra i giudici in quota Pdl c’è chi dice che ”tira una brutta aria” e che ”al momento non c’è stato alcun tentativo di trovare una soluzione condivisa”.
A 48 ore dalla camera di consiglio di giovedi’ prossimo, giorno del verdetto, la mediazione sembra in fase di stallo. In una Corte in bilico, due sono i giudici che i boatos danno per incerti (Giuseppe Tesauro e Paolo Grossi), mentre al momento sarebbero cinque o sei quelli pronti a votare per salvare la legge nel suo nucleo essenziale. Su limiti e poteri del giudice nel valutare l’impedimento si gioca infatti la vera partita. Cassese scoprirà formalmente le carte solo giovedì, visto che la camera di consiglio di domani sarà interamente dedicata ai referendum, incluso quello promosso dall’Idv di Di Pietro per cancellare ‘in toto’ il legittimo impedimento.
Dato per scontato che lo ‘scudo’ non passerà indenne l’esame della Corte, resta da vedere con quale formula i giudici si avviano a intervenire. Probabilmente – azzarda qualcuno in ambienti di Palazzo della Consulta – con una sentenza che dichiara illegittimo tutto o in parte il comma 4 dell’art. 1 della legge, che prevede l’autocertificazione della presidenza del consiglio e l’automatico obbligo per il giudice di rinviare l’udienza non oltre sei mesi.
E, contemporaneamente, con un intervento anche sul comma 1, che elenca i motivi di impedimento di premier e ministri a presentarsi in udienza estendendoli alle ”attività preparatorie e consequenziali, nonche’ di ogni attivita’ comunque coessenziale alle funzioni di governo”. La Corte potrebbe fornire una interpretazione su questo punto, sottolineando la necessita’ che sia il giudice, di volta in volta, a verificare la sussistenza dell’impedimento e a valutare la concomitanza dell’impegno governativo con la prevista udienza nell’ottica di una ”leale collaborazione” tra poteri. Ma in questo modo i benefici dello scudo a favore del premier verrebbero di fatto azzerati.
La formula della decisione (illegittimità totale, parziale e/o interpretativa di rigetto) avra’ ricadute anche sul referendum di Di Pietro la cui ammissibilità, prevista per domani, viene data per scontata in ambienti della Consulta. Il voto popolare sullo ‘scudo’ non ci sarà con certezza solo se la Consulta boccia in toto la legge, è in forse in caso di bocciatura parziale (la decisione spetta all’Ufficio centrale della Cassazione), si terrà sicuramente se i giudici costituzionali propenderanno per una interpretativa di rigetto.