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Letta scatena la caccia ai “fighetti-pd”: Renzi, Civati, Puppato, Serracchiani…

di admin |26 Luglio 2013 18:43

Pippo Civati, sul banco dei “fighetti” imputati (LaPresse)

ROMA – Pd, anzi Pf: partito “fighettocratico”. L’ultimo problema del partito guidato da Guglielmo Epifani lo ha segnalato con una durezza per lui inconsueta il presidente del consiglio Enrico Letta:

«Non c’è alternativa a questa maggioranza, e nemmeno il voto, lo è. Perciò basta fare i “fighi”: cercare l’applauso individuale con un tweet o su Facebook non basta più. Se falliamo saremo travolti tutti insieme. E, con noi, l’Italia».

Finite le rassegne stampa, subito è partita la caccia al “fighetto” o a quello che “fa il figo”. Rosa di nomi: Matteo Renzi, Pippo Civati, Laura Puppato, Felice Casson, Walter Tocci.

Fabrizio Roncone sul Corriere:

“Proviamo a tracciare un identikit. Il «fighetto» piddino è molto presente sui social network, cinguetta con puntualità, e ciò che scrive su Face è poi anche ciò che ripete quando viene invitato in uno dei tanti contenitori televisivi dove si ragiona di politica. E cosa dice il «fighetto» quando sta lì, alla tivù? Critica il proprio partito, polemizza con il Pdl, rintuzza il premier, graffia le larghe intese. I conduttori non lo interrompono e, anzi, di solito, gongolano”.

Roncone mette in cima alla lista degli imputabili di fighettismo Pippo Civati:

“(37 anni, da Monza: un inizio da «rottamatore» con Matteo Renzi, poi da solo, ma sempre controcorrente; anche in Transatlantico, dove passeggia con sguardo torvo, come tormentato da riflessioni profonde).

Lui, prontissimo.

«Beh, sì, certo: mi sembra chiaro che Letta alludesse a me, a Renzi… insomma a chi non è allineato… […] Sono giorni che noi dissidenti subiamo attacchi durissimi. Prima Franceschini, poi Stefano Espositosperavo che Letta non si accodasse. E invece, anche lui… Un prepotente. Perché no, dico: usare certi toni antipatici nei confronti delle minoranze mentre fai il premier e hai tutto il gruppo dirigente del Pd, Renzi a parte, al tuo fianco. Dai, su: ma come si fa? […] Non so se siamo “fighetti” o dissidenti o semplice minoranza: ma certo vorremmo essere rispettati […] «Mah… i “fighetti” sono quelli che passano da un salotto all’altro, e magari li conosce bene Letta, non certo io. Io lavoro dieci ore al giorno in Parlamento e poi vado alle feste del partito: stasera a Fiumicino, domani in Toscana… E lì dico quello che penso su questo governo […] «Guardi, il mio dissenso è sempre motivato. Purtroppo sa qual è il ragionamento di Letta, no? […] Lui dice: l’unico governo possibile è questo, discutere è tempo perso, tante vale ingoiare i rospi senza fare gli schizzinosi… Per fortuna, però, un giorno io, un altro Civati, un altro ancora Renzi, alziamo il ditino e…»”.

Fabrizio Rondolino, sul Giornale, descrive divertito uno zoo nel quale fino a qualche anno fa era compreso anche lui, nel recinto dei dalemiani:

“E così, dopo i Giovani tur­chi e i «rottamatori», do­po i veltroniani e i dale­miani, dopo i teo-dem e gli Oc­cupyPd, ora abbiamo anche i «fi­ghi ». […] Vediamo di capire meglio. Tanto per cominciare: fighi o fighetti? I giornali si sono divisi nell’interpretazione, ma Letta ha parlato chiaro. Nel mirino non ci sono i «fighetti» – fra i qua­li, secondo alcune malelingue democratiche, rientrerebbe an­che il presidente del Consiglio ­- ma quelli che «fanno i fighi», cioè che si danno un tono, che sgomitano per comparire, che prendono continuamente le di­stanze per mettersi in mostra, che la sparano grossa, che non s’azzittano mai, che lavorano soltanto per se stessi in perenne ricerca dell’«applauso facile»”.

Rondolino individua nel sindaco di Firenze il principale bersaglio dell’accusa di fighettismo:

“Difficile non pensare a Matteo Renzi: così, almeno, lo dipingo­no da tempo i dirigenti del correntone bersaniano. Per loro il sindaco di Firenze è un provoca­tore in servizio permanente ef­fettivo, e ogni sua presa di posi­zione, soprattutto quando gradi­ta all’opinione pubblica, viene irrimediabilmente etichettata come prova di esibizionismo e becera ricerca del consenso. È stato così con il finanziamento pubblico ai partiti, con la politi­ca economica del governo, con la sospensione dei lavori parla­mentari chiesta dal Pdl: il Pd ogni volta ha detto una cosa, e Renzi un’altra”.

Anche Rondolino però include nella lista dei fighi Civati, Puppato e Casson. Ai quale aggiunge Debora Serracchiani, Alessandra Moretti, Francesco Boccia e Dario Franceschini:

“Un figo di professione è senz’altro Pippo Civati, che ha votato contro la fiducia al gover­no, sogna un esecutivo con Gril­lo e si è candidato alla segreteria del Pd. Migliorista in tenera età, Civati è salito alle cronache na­zionali come spalla di Renzi, da cui si è poi allontanato per una fe­lice carriera solista che oggi lo colloca al polo opposto. Più a si­nistra di lui, infatti, c’è soltanto Laura Puppato, oscura dirigen­te locale del Pd divenuta, a forza di dissentire, la reginetta dei talk show che piacciono alla gente che piace […] come del resto anche il senatore ed ex pm Casson, l’eroe dell’ineleggibili­tà di Berlusconi.

In quale al­tro partito la portavoce del segre­tario nazionale si permettereb­be di disobbedire nell’elezione del presidente della Repubbli­ca? Eppure Alessandra Moretti, per «fare la figa» e guadagnarsi un invito in tv, ha allegramente twittato che mai e poi mai avreb­be votato Marini al Quirinale, in barba agli accordi presi dal suo principale […]

Sputare nel piatto in cui si con­tinua a mangiare è un’attività piuttosto diffusa nella corrente dei «fighi», e non fa eccezione la neogovernatrice del Friuli. Me­sta e lamentosa, Debora Serrac­chiani fa dell’antidivismo la chiave del suo successo e per col­pire il Pd si trincera dietro un buonsenso da Bar Sport: tanto che si fatica a capire se, come di­cono a Roma, ci fa o ci è. «Ultima­mente tiriamo il sasso e nascon­diamo la mano» è la sua ultima perla di saggezza: il riferimento è all’alleanza con il Pdl, ma ha il pregio, come i foglietti dei Baci Perugina, di funzionare sem­pre.

Francesco Boccia, lettiano di ferro e sposo felice di una mi­nistra del Pdl, ha invece deciso di fare il figo difendendo ogni giorno il governo, a prescinde­re: nel coro assordante di criti­che, è un buon modo per farsi no­tare. Figo di tutt’altra tempra è Dario Franceschini: ha scritto romanzi, si è fidanzato con una giovane e promettente dirigen­te di partito, s’è fatto crescere una barba vagamente castrista. L’effetto total makeover si è esau­rito presto, ma il neoministro non per questo ha rinunciato ai suoi progetti: oggi (moderata­mente) antirenziano, si confer­merà abbastanza figo da soprav­vivere anche al prossimo cam­bio di maggioranza. Perché il fi­go, si sa, se la cava sempre”.

Tattica politica del “fighetto”:

“­usano una tec­nica simile: si dichiarano subito in dissenso, conquistano un’in­tervista al Corriere o a Repubbli­ca, dopodiché si disinteressano della questione e vanno in cerca di una nuova occasione per «fa­re il figo»”.

Il problema, secondo Rondolino, non sono tanto i fighetti ma un partito che figo non è più:

“Distinguersi per esist­e­re è un segno evidente della crisi democrat, perché dimostra co­me il partito, in quanto tale, non sia più percepito come un anco­raggio sicuro che determina le carriere, lo status, il prestigio, ma, al contrario, sia ormai una zattera di naufraghi, o una zavor­ra che impiomba le carriere e ap­panna l’immagine”.

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