Licenziare dipendenti di municipalizzate in crisi? Potere di veto ai sindacati

Licenziare dipendenti di municipalizzate in crisi? Potere di veto ai sindacati
Sit-in di protesta dei dipendenti davanti alla sede dell’Atac, una delle municipalizzate romane coi conti in rosso (LaPresse)

ROMA – Non si potrà licenziare senza un accordo con i sindacati. Letta così sembra la condizione più normale e legittima d’Europa, peccato che stiamo parlando di aziende comunali con i conti in rosso: aziende di una città come Roma che, pur oberata dai debiti, tiene in vita ottantamila posti di lavoro non tutti indispensabili e scarica tutti i costi sulle casse dello Stato e alzando le aliquote comunali ai romani, contribuenti con le tasse più alte d’Italia.

Il potere di veto ai sindacati è stato conferito da un emendamento al decreto “Salva Roma” di un senatore di Forza Italia, Francesco Aracri. Chi è? Lo spiega Sergio Rizzo sul Corriere della Sera

“Per apprezzare quanto al senatore Francesco Aracri stiano a cuore le aziende municipalizzate del Comune di Roma, è sufficiente la reazione a un articolo del Corriere di un paio d’anni fa. Lì si raccontava che l’ex amministratore delegato dell’Atac Maurizio Bertucci aveva garantito per iscritto a sette dirigenti cinque-anni-cinque di stipendio come indennità non solo in caso di licenziamento, ma anche di semplice cambiamento delle mansioni. La cosa era stata denunciata come un autentico scandalo dal successore di Bertucci, Maurizio Basile, prima di dimettersi. Non la pensava così, invece, l’onorevole Aracri, indicato allora come referente politico di uno dei sette beneficiari.

«Lettere puramente tecniche», strumenti di «piena legittimità», le aveva definite l’attuale senatore di Forza Italia, da esperto del ramo. Nella giunta della Regione Lazio guidata da Francesco Storace, infatti, Aracri aveva ricoperto a lungo l’incarico di assessore ai Trasporti.

E non è un mistero che Fast, sindacato autonomo dell’Atac, abbia in lui il proprio punto di riferimento. Poteva dunque fallire la prova decisiva di fedeltà alla causa? Ecco allora spuntare, nel decreto cosiddetto salva Roma, che ha avuto il via libera in prima lettura dal Senato giovedì scorso, un emendamento di otto parole presentato dal Nostro.

Queste: «Nel quadro degli accordi con le organizzazioni sindacali». Otto parole che rappresentano un precedente micidiale. Perché introducono per legge una golden share a favore dei sindacati nel caso in cui qualche azienda municipalizzata in perdita del Comune di Roma (forse l’Atac?) debba intervenire sul personale.

La norma in cui quell’emendamento è stato recapitato stabilisce testualmente che il Campidoglio debba «operare una ricognizione dei fabbisogni di personale nelle società partecipate, prevedendo per quelle in perdita il necessario riequilibrio con l’utilizzo degli strumenti legislativi esistenti, nel quadro degli accordi con le organizzazioni sindacali».

Di fatto, a queste ultime viene consegnato il potere di cogestire trasferimenti, esodi e licenziamenti in società che sulla carta dovrebbero operare in regime privatistico. E tutto questo in base a un provvedimento approvato dal Parlamento a larga maggioranza trasversale. Perché naturalmente l’emendamento del forzista Aracri è passato anche con i voti del centrosinistra”.

 

L’emendamento di Aracri ha incontrato consensi trasversali. Così come invece trasversale era stata l’opposizione all’emendamento Lanzillotta, che prevedeva la possibilità di licenziare i dipendenti di aziende comunali sull’orlo della bancarotta:

“Ma del clima nel quale è maturata questa clamorosa svolta filosindacale bipartisan dice tutto l’esito di un altro emendamento che portava la firma dell’ex ministro ed ex assessore del Comune di Roma, Linda Lanzillotta. La senatrice di Scelta civica proponeva la cessione di quote dell’Acea, la municipalizzata per l’energia e l’acqua, prevedendo la possibilità di licenziamento dei dipendenti delle municipalizzate in crisi. Immediata l’insurrezione del sindacato, affidata al segretario della Cgil del Lazio, Claudio Di Berardino.

«L’emendamento Lanzillotta farebbe saltare la pace sociale a Roma. E il sindacato guiderebbe ogni iniziativa necessaria per fermare un provvedimento che affosserebbe cittadini e lavoratori di Roma, con evidenti rischi di licenziamento per i lavoratori dell’Atac, dell’Ama e dell’Acea».

Minaccia alla quale governo e maggioranza si sono adeguati senza fare una piega, mutilando la proposta di Linda Lanzillotta del riferimento alla possibilità di licenziare e alla privatizzazione della grande municipalizzata quotata in Borsa: per cui rimane aperta la strada della cessione di quote, ma «fermo restando il controllo pubblico» sul 50 per cento più una delle azioni. Non solo. Alla mutilazione si è aggiunta una clamorosa riscossa del sindacato con l’emendamento Aracri”.

 

Lanzillotta ha protestato: “È un errore dare il potere di veto ai sindacati”. Rizzo spiega perché la situazione di Roma è drammatica:

“Per comprendere di che cosa si sta parlando, va spiegato che le società partecipate dal Comune di Roma occupano qualcosa come 37 mila dipendenti, che si sommano ai 25 mila impiegati dell’amministrazione comunale. Per un totale di circa 62 mila unità, se sono corretti i numeri contenuti nel sito Internet del Campidoglio. La sola azienda di trasporto occupa una quantità di personale paragonabile a quello dell’Alitalia, e negli ultimi dieci anni ha accumulato perdite per 1,6 miliardi di euro.

Le società comunali sono ben 26, ma a questo numero si deve sommare quello delle loro partecipate: quelle di Atac, Ama e Acea sono una cinquantina.

E nello sterminato arcipelago comunale sono comparse sigle come «Risorse per Roma», una società con 565 persone e il compito di fare da consulente a un’amministrazione che paga 25 mila stipendi. Società che poi a sua volta ha creato un’agenzia battezzata Roma city investment «il cui scopo», si legge nell’ultimo bilancio, «è di promuovere la crescita del sistema informativo territoriale romano e l’attrazione degli investimenti necessari per la realizzazione dei progetti di rigenerazione urbana».

Sotto l’ala del sindacato tutte queste aziende potranno adesso tirare un bel respiro di sollievo. Ma si può dire lo stesso per i cittadini romani che si ritrovano ora sulle spalle un debito di 864 milioni e pagano tasse tra le più alte d’Italia?”.

 

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