Anche Licia Rognoni, vedova di Giuseppe Pinelli, sarà al Quirinale per partecipare sabato al “Giorno del ricordo delle vittime del terrorismo e delle stragi”. Ha rotto il suo quarantennale riserbo e ha accettato l’invito a sorpresa del Presidente della Repubblica: «Dopo averci pensato su un po’, ho detto di sì perché stimo molto il presidente Napolitano».
Quindi parteciperà in una cerimonia pubblica in cui si potrebbe trovare accanto a Gemma Capra, vedova di Luigi Calabresi, che ha già aperto all’ipotesi di una stretta di mano fra le due vedove: «Penso che il gesto del presidente della Repubblica sia di grande importanza. In questi quarant’anni non l’ho mai incontrata, ma mi sento di dire che lei, io ed i nostri figli siamo stati tutti vittime di una stagione di odio e di terrorismo. Oggi sento che la nostra sofferenza ci accomuna».
Il presidente della Repubblica ha spiegato le ragioni del suo gesto: «È importante riconoscere che Pinelli è una delle vittime di quei giorni, ricordare la sofferenza della moglie e delle figlie e cercare di chiudere un’epoca di contrapposizione. La sua figura deve essere ricordata da tutti e non più utilizzata per ridare fiato ad antiche contrapposizioni o a nuove lacerazioni»
Giuseppe Pinelli detto “Pino”, ferroviere anarchico, entrò negli uffici della Questura di Milano la sera del 12 dicembre 1969, come sospettato per la strage di Piazza Fontana, avvenuta qualche ora prima. Uscì dall’edificio in via Fatebenefratelli solo tre giorni dopo, e da una finestra al quarto piano. In quella stanza si stava svolgendo il suo interrogatorio. Pinelli morì dopo un’inutile corsa in ambulanza.
La magistratura ha accertato che il ferroviere non c’entrava nulla con la strage di Piazza Fontana. Ha anche stabilito, in una sentenza dell’attuale senatore Pd Gerardo D’Ambrosio, che Pinelli non fu ucciso nè si suicodò, morì in seguito ad un «malore attivo». Cioè della sua morte non erano responsabili i poliziotti che erano con lui in quella stanza, fra cui il commissario Luigi Calabresi, ritenuto invece colpevole da buona parte della pubblica opinione di allora e ucciso tre anni dopo a colpi di pistola in un agguato. Per l’omicidio Calabresi sono stati condannati come mandanti Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani e come esecutori Ovidio Bompressi e Leonardo Marino.
La vedova Pinelli non ha mai creduto alla tesi del malore.