“L’Italia non è un paese buono” dice la moglie di Satnam, l’ennesima vittima del caporalato

di Lorenzo Briotti
Pubblicato il 20 Giugno 2024 - 12:38
Satnam Singh

Satnam Singh

Satnam Singh aveva 31 anni, veniva dall’India e da tre anni viveva in Italia con la moglie cercando di dare un po’ di dignità alla sua vita. Satnam aveva ancora un bel pezzo di vita davanti. E’ morto però, due giorni dopo che un macchinario gli ha tranciato un braccio.

L’uomo era un bracciante agricolo che lavorava nell’Agro Pontino in provincia di Latina, una delle zone più agricole d’Italia e d’Europa dove da anni regna il caporalato. Una terra di bufale e di campi coltivati che si affacciano sul mare. Chi vive a Roma conosce bene questa zona del Lazio che dista solo 80 chilometri dalla capitale e che è nota per le sue belle spiagge: Sabaudia, San Felice al Circeo, Terracina…

Qui vivono migliaia di braccianti indiani di origine sikh che lavorano per lo più con contratti irregolari e in condizioni di sfruttamento. Sono loro ad assicurare frutta e verdura ai mercati di mezza Italia. Lavorano 14 ore e più al giorno con paghe che in molti casi sono da 3 euro all’ora, meno di un terzo di quanto prevede il contratto collettivo. Spesso vengono impegnati anche di notte senza alcun riconoscimento salariale.

Satnam è arrivato all’ospedale San Camillo di Roma lunedì, trasportato d’urgenza da un elicottero. Il braccio se lo è tranciato lavorando nei campi dopo essere stato agganciato da un macchinario avvolgiplastica a rullo trainato da un trattore. Il macchinario gli ha tranciato un braccio e schiacciato le gambe. I suoi datori di lavoro, alla vista della scena, se la sono data. L’hanno soltanto caricato sul pullmino insieme alla moglie, anche lei dipendente della stessa azienda. A bordo la donna implorava di chiamare l’ambulanza e invece hanno pensato bene di scaricarlo davanti alla sua casa a Borgo Bainsizza, una frazione di Latina.

Lo hanno lasciato là col suo braccio staccato appoggiato in una cassetta per gli ortaggi. A chiamare il 118 sono stati i vicini. Il ritardo dei soccorsi gli è stato fatale e il giovane è morto due giorni dopo per via delle ferite riportate e delle emorragie.

Ovviamente è stata aperta un’inchiesta con la Regione Lazio che si è costituirà parte civile. La regione pagherà anche i funerali. In questa storia purtroppo sempre più tipicamente italiana, la cosa che più indigna è però la disumanità del titolare dell’azienda per cui Satnam lavorava. Davanti alle telecamere ha detto che “è stata solo una leggerezza, come succede per qualsiasi altra morte sul lavoro. Gli avevo detto di non avvicinarsi a quel macchinario”. Ovviamente il 31enne era irregolare sia al lavoro, sia col permesso di soggiorno. Due condizioni che rendono schiavi gli immigrati. Poi ci potranno anche raccontare che in Italia siamo vittime di una fantomatica invasione di migranti. La verità è un’altra: la mancanza di contratti e la difficoltà, in molti casi, ad avere un permesso di soggiorno regolari rendono schiavi molti che vengono poi sfruttati da imprenditori italianissimi con paghe da fame.  

Colpisce una frase della moglie di Satnam che ci fa capire quale paese stiamo costruendo. La donna ha detto: “Ed ora che ne sarà di me? Non siete [noi, gli italiani] un paese buono”.