Lite su come spartirsi i soldi della Sanità. Il federalismo è un ring, secondo round tra le Regioni

ROMA – Il federalismo, quello dei soldi e non dei comizi, somiglia sempre di più a una festa-cena in cui tutti gli invitati portano qualcosa da mangiare e ogni invitato si aspetta di assaggiare un po’ della portata altrui senza che nessuno tocchi il proprio piatto, insomma quel che è mio è mio, quel che è tuo invece è nostro. Centosei miliardi e mezzo di euro è quanto lo Stato centrale versa alle Regioni per pagare la Sanità pubblica nel 2011. Dunque centosei miliardi e mezzo è la “posta” che le Regioni devono imparare a spartirsi già oggi, devono mettersi d’accordo e stabilire le rispettive quote di federalismo sanitario. Dal 2013 ogni Regione avrà fondi per la Sanità sulla base del patto sottoscritto nel 2011, anzi nelle prossime 48 ore come impone il calendario del federalismo. Però non c’è patto e non c’è accordo, anzi ci sono sei proposte diverse e contrastanti tra loro e quella tra le Regioni è di fatto una lite, lite su come spartirsi i soldi. Chi dice: più soldi a chi ha più anziani nella popolazione, e sono soprattutto le Regioni del nord. Chi ribatte: più soldi a chi ha una società più indigente e una sanità più disastrata, e sono le Regioni del sud. Sui criteri è babele e sui numeri si cerca una matematica miracolosa per cui nessuno molla un euro e tutti incassano un euro in più.  E’ il secondo tempo del federalismo.

Il primo, quello relativo ai Comuni, si è appena concluso con più tasse: addizionali Irpef sbloccate, tassa di soggiorno, tassa di scopo, Imu. E con un pasticcio-contrasto non ancora risolto tra Napolitano che ha respinto il relativo decreto e il governo Berlusconi-Bossi che lo ha emanato. Se questo è stato il bilancio del primo tempo, se il primo tempo del federalismo è stato faticoso, costoso e incerto, il secondo tempo, quello delle Regioni che si spartiscono i soldi della Sanità, promette di essere perfino più agitato e complesso. La Lega insiste e pressa ma tutta la macchina del federalismo è sotto pressione e “balla”.

Litigano le Regioni  sul prossimo passo che il federalismo deve compiere: la ripartizione della spesa sanitaria regionale, una torta di oltre cento miliardi di euro. Al vertice tra le Regioni i governatori sono arrivati spaccati e così ne sono usciti. La proposta del ministero della Salute piace solo a Veneto, soprattutto, Lombardia e Lazio. Scontenti invece soprattutto le regioni dell’asse del sud che chiede di abbandonare il criterio di ripartizione fondato sull’età della popolazione, che lo sfavorirebbe, per considerare anche il “fattore deprivazione”, vale a dire indici che considerino le situazioni di disagio socio-economico. Nel mezzo, ben sei proposte su cui ieri le regioni hanno cominciato a confrontarsi, affidando agli assessori il compito di cercare una sintesi, difficilissima. I governatori riprenderanno il tavolo e la speranza è di chiudere entro 24 ore, per arrivare giovedì in conferenza Stato-Regioni. Il rischio che corrono le Regioni se non trovano una sintesi delle loro richieste è che in questo caso si procederebbe d’ufficio con la proposta del governo.

Primo decreto bocciato in “bicameralina”, Regioni spaccate prima ancora di incontrarsi sul secondo passaggio del federalismo con la partita decisiva, quella in cui si stabiliranno i “costi standard”, che deve ancora cominciare. Se federalismo sarà, sarà frutto di un lavoro di mediazione e composizione senza precedenti, soprattutto con un governo con questi numeri in Parlamento.

Dei 106,5 miliardi per il 2011, la posta in palio effettiva di cui discutono le regioni riguarda i 103,9 miliardi del cosiddetto fondo indistinto per l’erogazione dei Lea (i livelli essenziali di assistenza). Le sei proposte, firmate Sicilia, Calabria, Veneto, Basilicata, Umbria ed Emilia Romagna, avrebbero effetti differenti al momento della ripartizione dei fondi tra le Regioni. Con un mix più o meno sensibile del “fattore deprivazione” (e della sua eventuale gradualità), da applicare soprattutto alla spesa ospedaliera, ma tenendo sempre in campo come fattore principale l’età della popolazione. Soltanto il Veneto propone apertamente di continuare a considerare esclusivamente l’età della popolazione, dando anzi più peso agli ultra 75 enni. Gli spostamenti di risorse da una Regione all’altra andrebbero da un massimo di perdite di 231 milioni per la Lombardia, proposta della Calabria, a un guadagno massimo di 157 milioni per la Campania, proposta della Sicilia. I governatori cercheranno di avvicinarsi almeno all’obiettivo minimo: fare in modo che nessuna Regione perda rispetto al 2010. Un’impresa quasi disperata allo stato delle cose, considerando che, dopo la manovra estiva, i fondi rispetto al 2010 sono cresciuti solo dello 0,8%. Con circa 800 milioni che mancano all’appello tra superticket per la specialistica, coperto solo fino a maggio, e la cancellazione delle risorse per la non autosufficienza.

E se questo è il quadro che si prospetta per il prossimo passaggio del federalismo, leggendo il decreto promosso dal governo che riguarda i Comuni, e facendo due conti, si scopre che la compartecipazione Iva punta decisamente a Nord. Anche l’analisi del gettito per provincia, cioè secondo il metodo individuato dall’ultima versione del decreto sul federalismo municipale, conferma la geografia squilibrata del gettito, che premia soprattutto i grandi centri nelle regioni settentrionali e si riduce al lumicino nelle province calabresi, campane e sarde. Questo perché la compartecipazione all’Iva riguarda, ovviamente, l’Iva. Ma cos’è l’Iva? E’ una tassa sui consumi, ovvio quindi che ci sarà un maggior gettito derivante da questa imposta la dove ci sono più consumi, cioè nelle regioni più ricche che più possono “consumare”, cioè al nord.

I numeri stimano la dote che ogni comune potrebbe ricevere sulla base dell’Iva dichiarata nel 2008, ultimo anno di cui si hanno al momento le analisi provinciali. Dietro a Milano e Roma, “fuori concorso” con 201 e 162 euro per abitante, la classifica divide l’Italia nettamente in due: in alto il Nord e in basso il Sud, con Crotone, Caserta e Cosenza che si piazzano a livelli anche 100 volte inferiori rispetto alle città di testa.

I commenti sono chiusi.

Gestione cookie