Lunardi e il palazzetto di Propaganda Fide, il tribunale dei ministri insiste: “Perché va processato”

Pietro Lunardi
Pietro Lunardi

PERUGIA – Il Tribunale dei ministri di Perugia torna a spingere per procedere contro Pietro Lunardi, ex ministro delle Infrastrutture e oggi deputato Pdl e avanza una nuova richiesta alla Giunta per le autorizzazioni della Camera, con una relazione motivata di 13 pagine, secondo quanto ricostruisce Carlo Bonini su Repubblica.

L’ex ministro Lunardi era stato coinvolto, insieme al cardinale e arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe, nell’inchiesta sulla cosiddetta “cricca” per la vendita nel 2004 – “con l’intervento risolutivo” di Angelo Balducci, secondo l’accusa – di un palazzo dell’organizzazione religiosa Propaganda Fide. Allora Sepe era proprio il responsabile delle infrastrutture per la congregazione. Il palazzo si trova in via dei Prefetti, a Roma, e dietro ci sarebbe stato un contributo pubblico di 2 milioni e mezzo di euro ai lavori di ristrutturazione della sede della Congregazione in piazza di Spagna.

Ricorda Bonini che il 6 ottobre 2010 la Giunta aveva disposto la restituzione degli atti al Tribunale perché ritenuti tanto “lacunosi nel ricostruire l’imputazione anche a carico del coimputato Sepe”, quanto frutto di “indagini insufficienti”.

Adesso il Tribunale scrive, riporta Repubblica: “All’esito dell’approfondimento richiesto questo Collegio ribadisce l’insussistenza dei presupposti per disporre l’archiviazione del ministro Pietro Lunardi, non apparendo palesemente infondata la notizia di reato a suo carico”. “L’impianto accusatorioanche in relazione alla natura dell’imputazione, si fonda su ampi riscontri di carattere prevalentemente documentale (atti pubblici, provvedimenti amministrativi, corrispondenza, verbali di testimonianza, atti negoziali, documentazione contabile, atti della Procura regionale presso la Corte dei Conti) i quali rendono superfluo, allo stato, il compimento di indagini diverse. Tanto più in mancanza di qualsivoglia segnalazione in tal senso da parte del ministro interessato, che non si è mai avvalso della facoltà di presentare memorie al Collegio o di essere ascoltato”.

Cosa dovrebbe fare la Giunta quindi secondo il Tribale? Cercare di dare una risposta e far capire se Lunardi, “nel commettere il reato, abbia o meno agito a tutela di un interesse dello Stato”.

“Se insomma, quel “baratto” all’ombra di un privatissimo affare immobiliare (3 i milioni di euro pagati dalla società del figlio di Lunardi, Giuseppe, per un immobile che ne valeva 8), che vede “indissolubilmente legati corrotto (Lunardi) e corruttore (Sepe)”, avesse o meno un qualche imperscrutabile obiettivo di difesa di “superiori interessi collettivi”, spiega Bonini.

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