Giuseppe Piccolomo si è avvalso della facoltà di non rispondere al gip sull’omicidio della pensionata Carla Molinari.
Ma nello stesso giorno, le parole più dure, quasi un’anatema, arrivano dalle due figlie che ebbe dalla prima moglie, Marisa Maldera morta in un sospetto incidente d’auto. Lapidaria Nunzia, una delle due ragazze: «Nostro padre è un assassino”.
L’uomo fermato giovedì con l’accusa di aver ucciso l’ex tipografa di Cocquio Trevisago e di averle tagliato le mani è comparso, nel carcere dei Miogni, davanti al giudice per le indagini preliminari Giuseppe Fazio e ha fatto scena muta.
Il suo legale, Simona Bettiati ha chiesto la scarcerazione per l’assenza di gravi indizi di colpevolezza, mentre il pm Luca Petrucci ha chiesto la convalida del fermo e la custodia cautelare in carcere. Il giudice ha tempo fino alle 12 di domani per decidere.
Chi invece ha già condannato l’ex ristoratore, ora piccolo impresario edile, sono le figlie che ha avuto dal primo matrimonio (Piccolomo è ora sposato con una donna marocchina, che si trova in patria con i due figli piccoli a). Nunzia, sposata con un agente di Polizia penitenziaria in servizio proprio nel carcere dei Miogni, e sua sorella Cinzia spiegano che dalla loro vita il padre è “cancellato” da tempo.
Lo definiscono un «padre padrone», «violento e irascibile». Poi usano parole che suonano come una maledizione: lo ritengono responsabile della morte dell’ex tipografa ma anche di quella della madre, o meglio, del suo omicidio.
Lei è convinta che suo padre sia un assassino? «Io si», risponde secca Nunzia. Le due sorelle chiedono giustizia anche per quell’incidente in cui morì la madre carbonizzata in auto, nel 2003, mentre il padre patteggiò un anno e quattro mesi per omicidio colposo.
«Quando l’abbiamo saputo – ricorda – siamo corsi in ospedale credendo fosse un vero incidente, ma quando abbiamo saputo che era morta arsa viva, carbonizzata, e lui non si era fatto niente, per come era fatto abbiamo pensato fosse stato lui».
Cinzia fa risalire i problemi di Piccolomo con la moglie proprio a quando la marocchina cominciò a lavorare nel ristorante-pizzeria della coppia, dalla gestione fallimentare: «Era la sua ombra, abbiamo cercato di aprire gli occhi a nostra madre».
Le uniche parole di speranza, per Piccolomo, vengono dal parroco della frazione di Cocquio in cui viveva Carla Molinari. Don Hervé Simeoni spiega che «bisognerebbe accertare se davvero è stato lui, ma il rapporto tra il sacerdote e chi mette sotto i piedi la dignità della propria vita è la stessa tra il medico e il paziente: la cura deve essere profonda, non bastano palliativi. E’ necessario un percorso di espiazione». Lo incontrerebbe in carcere se lo chiedesse? «Lo farei, non come don Hervé – ha risposto – ma come farebbe qualunque sacerdote per via del suo ministero».
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