ROMA – Ignazio Marino alla fine si è dimesso. Il Pd ha mandato Marco Causi (vicesindaco dimissionario) e Alfonso Sabella (assessore), che sono riusciti nella missione di convincere il sindaco a dimettersi.
Anche se, come recita l’epitaffio di Franco Califano, Marino ha voluto congedarsi con un “non escludo il ritorno”. Nel suo annunciare le dimissioni (qui il testo integrale della lettera) Marino ha ricordato/minacciato che “ho venti giorni per pensarci”. Venti giorni prescritti per legge, che di solito non vengono utilizzati ma che il chirurgo prestato alla politica ha dichiarato di voler usare.
Cosa farà nei prossimi venti giorni? Forse valutare se riesce a tornare alla guida del Campidoglio con un’altra maggioranza. Perché nella sua lettera, in cui Marino non fa per nulla autocritica, il sindaco ha attaccato il Pd perché non lo ha sostenuto nonostante quelle che, a suo dire, sono le tante cose buone fatte.
Ma l’ultimatum era arrivato già quasi 24 ore prima dal Pd, cioè dal suo partito. Ultimatum chiaro: o te ne vai o ti mandiamo via noi. Ultimatum largamente anticipato da quanto accaduto nella convulsa mattinata di questo 8 ottobre. Con un assessore Pd, Stefano Esposito, che aveva parlato apertamente di “nessuna possibilità di andare avanti”.
Lo stesso Esposito, insieme con il vicesindaco Marco Causi, l’assessore al Turismo Luigina Di Liegro, ha rassegnato le dimissioni. Sono tutti e tre elementi entrati in Giunta con il rimpasto di luglio, un rimpasto che ha dato un’impronta più Pd-Renzi al percorso di Marino, espellendo dal governo della città Sel.
Percorso che pare arrivato agli ultimi metri proprio perché quel Pd-Renzi non ne vuole sapere più niente del sindaco chirurgo. Tanto da ventilare la presentazione di una mozione di sfiducia in Consiglio comunale a Marino nel caso che il sindaco, come è apparso sempre più probabile una volta passato il primo ultimatum delle 16, avesse pensato di resistere ancora e di arroccarsi nel Campidoglio.
Lo fa capire in modo chiaro anche l’ultimo arrivato (in mero ordine cronologico) nella Giunta. Quello Stefano Esposito portato dal Senato ai disastrati trasporti della Capitale che pure in poche settimane è riuscito a inimicarsi tanti romani cantando “Roma m…” in radio. Esposito a Sky Tg 24 parla di “fine inevitabile” e spiega: “La situazione non può durare, non vedo possibilità di andare avanti”.
Ma perché inevitabili? Prima cosa perché Marino ha confessato. In pochi lo hanno scritto se non tra le righe. Eppure, decidendo e annunciando ai romani che restituirà 20mila euro e non utilizzerà più la carta di credito del comune, il sindaco ha confessato di aver pasticciato con le note spese.
Davanti a manifesta confessione scatta una legge inevitabile della politica: individuare il danno maggiore e limitarlo. Fino al pasticcio delle note spese il danno maggiore, per il Pd che Marino li ha messo e provato a sostenere, è Roma con un sindaco dimissionario durante il Giubileo. Ora il danno maggiore è un sindaco con le note spese pasticciate prima durante e dopo il Giubileo. E cosa era, se non gestire il danno, la scelta di commissariare di fatto il Giubileo affiancando a Marino il prefetto Gabrielli? Il sindaco ha finto di non cogliere. Ha imbarazzato Gabrielli e un’intera platea di uditori con una battuta fuori luogo proprio perché vera, una di quelle cose su cui non c’è da ridere, definendo il prefetto “la sua badante”.
Seconda cosa, Matteo Renzi non ne può più. Non solo in senso di malumori e di personale disistima. Non ne può più politicamente perché non può permettersi di avere un sindaco Pd in queste condizioni. Bersaglio quotidiano e costante non solo di polemica politica ma persino di iniziative della magistratura. Un sindaco che ogni giorno, a ogni esternazione, a ogni viaggio non richiesto, a ogni auto in divieto di sosta, a ogni nota spese pasticciata, costa al Pd migliaia di voti.
È quindi possibile, anzi probabile, che Marino non venga sostituito ma rimpiazzato da un commissario (si troverà una formula) per aprire la strada alle elezioni nel 2016.
Elezioni che Renzi vorrebbe possibilmente non concomitanti con quelle di Milano e Napoli, previste in primavera. Per Roma Renzi ha in mente ottobre. E c’è la prospettiva, minacciosa per il Pd, di un sindaco grillino. Se si votasse oggi, infatti, sarebbe proprio il Movimento 5 Stelle ad avere più voti e ad avere più possibilità di mettere al Campidoglio un sindaco. Il Pd romano, tra scandali coop e arresti per Mafia Capitale, ci ha messo del suo. Marino ha dato la mazzata finale.