ROMA – Il caso marò sfascia un governo già sfasciato. Un ministro, Giulio Terzi di Sant’Agata, si dimette sbattendo la porta e scaricando tutta la responsabilità su Mario Monti e gli altri ministri. Un altro ministro, il titolare della Difesa Giampaolo Di Paola replica che no, lui non si dimette, che sarebbe più facile abbandonare la nave che imbarca acqua come uno Schettino qualsiasi ma che invece resterà al suo posto fino alla fine, per tentare di aiutare i due marò e di riportarli a casa.
Poi c’è Mario Monti che prende l’incarico di Terzi ad interim, corre ai ripari e dice che il giorno successivo riferirà alle Camere. Ma è tutta la nave del governo che imbarca acqua. Perché Terzi nel suo sbattere la porta dimentica assai poco cordialmente di avvisare non tanto e non solo Monti, ma soprattutto Giorgio Napolitano. Che non la prende benissimo e pur con tutte le attenuazioni da comunicazione istituzionale lascia trapelare la sua irritazione dicendosi “sconcertato” per un “gesto irrituale”. Gesto soprattutto non comunicato per tempo né a Monti né, soprattutto a Napolitano.
Una conferma della mancata comunicazione arriva dallo stesso Terzi che prova a giustificarsi dicendo di aver deciso il passo indietro a fine riunione, poco dopo le 13 e quindi appena un’ora prima di entrare alla Camera. Resta la sostanza dello “sgarbo” politico. Perché Terzi, in quell’ora, non pensa di avvertire nel il presidente del Consiglio né quello della Repubblica.
Lo strappo si consuma poco dopo, il tutto mentre l’Aula della Camera assiste attonita ad uno spettacolo imprevisto. Perché a sciogliersi sotto la pessima gestione della vicenda di Salvatore Girone e Massimilano Latorre è un governo già naturalmente agonizzante, quello di Mario Monti. Governo morto per sopraggiunte elezioni e eppure ancora formalmente in carica in attesa che, forse, il Parlamento più incerto degli ultimi 20 anni voti la fiducia a un nuovo esecutivo.
Ma la “dissoluzione” del governo Monti ha un’appendice surreale. Quella di un ministro, Terzi, che attacca a testa bassa gli ex colleghi e si dimette quando tra 48 ore o poco più potrebbe esserci un governo nuovo.
Un particolare che non sfugge al suo ex collega Di Paola che sull’aspetto teatrale del passo indietro di Terzi affonda: ”Sarebbe facile per me annunciare di dimettermi, sarebbe facile oggi lasciare la poltrona che comunque a breve lascerò al nuovo ministro che arrivera’. Sarebbe facile, no cost, ma non sarebbe giusto e non lo farò. Non abbandono la nave in difficoltà”. Manca solo la citazione di Schettino e della Costa Concordia. Di Paola si ferma prima, ma la bordata a Terzi arriva lo stesso, forte e chiara.
Mercoledì pomeriggio alle 17:30 toccherà al premier Mario Monti dire la sua. Il professore parlerà sia in Senato sia alla Camera e si troverà di fronte un’assemblea in buona parte ostile. Ma a questo punto, dopo lo show dei ministri l’uno contro l’altro armati, al “capo dei tecnici” toccherà l’assai poco glorioso compito di provare a metterci una pezza.
Monti, però, prima ancora di riferire in parlamento prende già le distanze da Terzi. “Tali dimissioni non mi erano state preannunciate, benchè martedì mattina si fosse tenuta presso la Presidenza del Consiglio, con la mia partecipazione, una riunione di lavoro con i Ministri Terzi e Di Paola per la messa a punto dell’informativa del Governo. Le valutazioni espresse alla Camera dal Ministro Terzi non sono condivise dal Governo, come ha già dichiarato il Ministro Di Paola. Mercoledì – conclude il capo del governo – riferirò alla Camera e al Senato sull’intera vicenda”.
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