Aula del Senato, più o meno le 16,30, presiede Schifani. Roberto Maroni, ministro degli Interni, cravatta verde leghista su grisaglia ministeriale, riferisce del “caso Ruby”. Ricostruisce ora per ora la serata-nottata del 27 maggio: la ragazza fermata, portata in Questura, “compiutamente identificata e fotosegnalata prima che alle 23 arrivasse sull’utenza di servizio del funzionario la telefonata”. La telefonata di un uomo dei servizi di sicurezza del presidente del Consiglio che poi passa allo stesso funzionario Silvio Berlusconi in persona. “Che chiese notizie di una ragazza nord-africana che gli era stata segnalata quale parente del presidente egiziano Mubarak…”.
Prosegue Maroni: “Alle 24 circa altra telefonata da Palazzo Chigi che chiedeva ulteriori informazioni, veniva risposto che altri accertamenti erano in corso, sempre in collegamento con l’autorità giudiziaria”. Conclude Maroni: “Sopraggiungeva la consigliera Minetti che riferiva di conoscere la ragazza… Alle due di notte, otto ore dopo il rintraccio, la ragazza veniva affidata alla Minetti…Non si evidenzia nessuna frettolosità o superficialità”. Riferisce Maroni quindi che nella Questura di Milano tutto si svolse in “assoluta correttezza”, assolve e scagiona funzionari e agenti di polizia da qualsiasi dubbio sul loro comportamento. Parola di ministro degli Interni.
Minisro degli Interni che conferma nella sua ricostruzione come il capo dl governo per ben due volte, a distanza di un’ora l’una dall’altra, telefonò direttamente ai funzionari per “segnalare” e “informarsi”. Se le parole hanno un senso, la tesi di Maroni, quel che lui dichiara accertato, è che la Questura di Milano fece tutto in regola indipendentemente e nonostante le telefonate di Berlusconi.
Nulla dice il ministro degli Interni sulla irritualità o meno di quella telefonata, non una parola. Nella sua ricostruzione e racconto è una telefonata, anzi due, che scivolano come acqua fresca su chi le riceve. Nulla dice il ministro degli Interni sulla genesi di quelle due telefonate, sulla circostanza che esse sono state attivate dopo che il premier era stato, diciamo così attenzionato, alla sorte di Ruby da altra telefonata arrivata sulle sue utenze dirette da parte di un’amica brasiliana di Ruby e del premier o di Ruby stessa. Nulla dice il ministro degli Interni sulla circostanza per cui Ruby “affidata” a norma di legge alla Minetti veniva poi lasciata libera di andare dove e come voleva nonostante la legge preveda “l’obbligo della vigilanza” sul minore affidato da parte dall’affidatario. Sostiene implicitamente il ministro davanti al Parlamento che il possesso di utenze riservate da parte di privati e discutibili soggetti, il loro uso per contattare il premier, un capo di governo che chiama due volte il funzionario in Questura, un capo di governo che parla della parentela con Mubarak nonostante sia stata prima accertata tutt’altra identità della minore, l’affido a persona che immediatamente disattende l’affido stesso, tutto questo non compete e non riguarda il ministro stesso. Insomma non sono affari suoi. Tutto in regola dunque, sostiene Maroni nel momento in cui ammette che niente è in ordine.
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