Il veleno di Masi, ma non è tutto oro quel che luce nell’armatura degli eroi dell’informazione Rai

ROMA-Ci vuole una robusta dose di umorismo noir per definire Augusto Minzolini e il suo Tg1 “innovatori”. Mauro Masi, fresco dimissionario dall’incarico di direttore generale della Rai, questo tipo di umorismo ce l’ha e infatti Minzolini ha “innovato”. Prima di lui c’era sempre stato il Tg1 governativo, con Minzolini è diventato di lotta e di governo, saltuaria lotta alle notizie e pieno governo della propaganda. Ci vuole una faccia teneramente sfacciata per sostenere che la Rai, l’ingoverbabile, ingovernata, rissosa e lottizzata Rai, sia in salute finanziaria e di prodotto. Mauro Masi questa faccia ce l’ha e parla di “tagli agli sprechi” e di “stravittoria” su Mediaset. Ci vuole una bella combinazione di stizza per gli ultimi due anni vissuti a Viale Mazzini e di sollievo per essersene tirato fuori per rilasciare un’intervista-memoria come quella che Mauro Masi ha rilasciato al Corriere della Sera sabato 30 aprile. Mini autobiografia di un dirigente Rai che si racconta come fulgido, invitto, anche se un po’ incompreso eroe dell’azienda, delle buone azioni, pensieri e volontà.

Però…però qualcosa che nessuno dice Mauro Masi la dice. E non è bugia, è verità. Dice Mauro Masi che non è tutt’oro quello che luce nell’armatura che indossano gli eroi della tv pubblica e della “informazione sopra di tutto”. Masi è astioso quando parla della “lobby di sinistra nell’informazione Rai”. Astioso, colmo di fiele e perfino inconsapevolmente in contraddizione con se stesso perché è proprio lui a spiegare che la “lobby” non è “di sinistra” ma è “lobby di se stessi”. Ecco le sue parole: “Individui che utilizzano la battaglia politica per ottenere più potere e più soldi…ammantare tutto ciò come una lotta per la sopravvivenza delle democrazia è irritante e ridicolo. Mi spiace che la sinistra Rai e la sinistra politica non capiscano tutto questo, forse perché ne sono prigioniere e non lo comprendono”.

L’identikit di Masi purtroppo non è inventato e campato in aria: in Rai è quasi regola che il conduttore di trasmissioni o di Tg ritenga se stesso e soltanto se stesso la bandiera da non ammainare, il valore da difendere e incrementare. Complice una magistratura del lavoro che tratta il lavoro giornalistico come fosse quello di un metalmeccanico in fonderia, il conduttore Rai ha le garanzie di protezione del posto di lavoro di un operaio, anzi di più, e la retribuzione e lo status di un imprenditore di se stesso. Avvicendare un conduttore è impossibile e così si stabilisce di fatto la conduzione a vita. D’altra parte la Rai è forse l’unica azienda al mondo che assume non per professionalità ma per anzianità di “precariato”. Precariato al quale si accede per prossimità, anche minima, di natura politica. Diritto di conduzione a vita per “diritto di audience”. Il che, come dice Masi e n essuno mai dice, è una bufala bella e buona: chi calcola quanto vale il brand Rai nel numero degli ascolti? Nessuno. Quando un conduttore dice: io faccio milioni di ascolti e milioni di pubblicità omette di dire che li fa perchè va in onda in Rai, non è solo e tutta “roba sua”. Ma in nome di questa “roba” il conduttore contratta potere e soldi. E, cosa che proprio nessuno dice, il conduttore per essere tale e meglio contrattare, smette, vuole subito smettere di essere giornalista. Diventa collaboratore a contratto della Rai, da giornalista mai e poi mai avrebbe il potere di far pagare redazioni da lui scelte e da giornalista dipendente mai e poi mai passerebbe dai 5/10mila euro al mese ai 500mila/un milione l’anno. Tutto “legittimo” come dice Masi, ma non tutto necessariamente “nobile”.

Masi ce l’ha con Michele Santoro che lo ha irriso e sconfitto e perciò ricorda la trattativa “con un manager esterno che con me trattava per lui sulla base di 14 milioni di euro per se stesso, il principale collaboratore, il regista…”. Masi ha il dente avvelenato e sparge veleno su Giovanni Floris e Fabio Fazio che “adottano metodi da calcio mercato facendosi, tra l’altro difendere da chi usa lo stesso italiano impervio che sento dai fantastici procuratori Raiola e Caliendo”. Masi esagera e dimentica che altri, Bruno Vespa tra i primi, hanno saputo e voluto “contrattare” con la Rai da imprenditori di se stessi oltre che dell’informazione. Però…però Masi ricorda e non inventa che le democraticissime redazioni di Rai 3 e Tg3 rifiutarono un “signor ticket professionale, Enrico Mentana al Tg3 e Giovanni Minoli a Rete Tre”. Un ticket disomogeneo alle aspettative di corporazione, un ticket insopportabilmente sbilanciato verso la professionalità. Non è tutto oro quello che luce nell’armatura degli eroi dell’informazione Rai: Sono decenni che vivono da ventroliqui, sodali, affini dei partiti politici, i più bravi hanno fatto della politica e dell’informazione un’impresa, una personale aziendina. Nessuno lo dice, sarebbe sacrilegio. Lo dice Masi, rauca voce inquinata da faziosità, ma, purtroppo, qua e là, fonte punteggiata di qualche verità.

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