ROMA – Mattarella: con Savona ministro dell’Economia Italia fuori dall’euro, ecco perché ho detto no. Il capo dello Stato spiega e racconta, rivendica e argomenta, squaderna davanti agli italiani che stanno seguendo i telegiornali il perché di un dramma politico sociale in cui il paese è precipitato. [App di Blitzquotidiano, gratis, clicca qui,- Ladyblitz clicca qui –Cronaca Oggi, App on Google Play] Dramma che stavolta non è parola grossa, stavolta dramma è parola appena adeguata. Dramma di cui non è dato prevedere atti ed esiti.
Mattarella dice chiaro che la nomina di Paolo Savona al Ministero dell’Economia avrebbe aperto la strada ad una uscita dell’Italia dall’euro. Questa sarebbe stata la conseguenza, quasi inevitabilmente. Inevitabilmente è l’avverbio usato dal Capo dello Stato. Firmare quella nomina, dice Mattarella, non era il riconoscere ai partiti che hanno la maggioranza in Parlamento il diritto di governare come credono. No, era altro e di più, era mettere la propria firma sotto un danno alla cosa pubblica, all’interesse generale.
Per essere ancor più chiaro Mattarella dice che è suo dovere difendere il risparmio degli italiani. E dice, anzi mostra, come siano bastati pochi giorni di Savona quasi ministro per colpire il risparmio e gli investimenti degli italiani per un valore stimato di circa 200 miliardi. Ma questo è il meno, il cuore della questione è che Paolo Savona ministro dell’Economia sarebbe stato un messaggio chiaro e netto per il mondo. E il messaggio sarebbe stato: prima o poi, più prima che poi, Italia fuori dall’euro.
Perché? Perché uno stimato sostenitore dello scioglimento degli eserciti non può fare il ministro della Difesa. Perché il ministro del Tesoro italiano, chiunque sia, deve per mestiere vendere ogni anno 400 miliardi di titoli di Stato italiani, deve farsi prestare al minor tasso di interesse possibile 400 miliardi ogni anno. Miliardi con cui si pagano stipendi pubblici, pensioni, scuole, ospedali. Ma se quel ministro orgogliosamente comunica a chi dovrebbe compare i suoi titoli di Stato che forse il debito e gli interessi li ripaga “consolidati” (cioè a scadenza più lunga e non al 100 per cento) e se comunica che forse paga non in euro, non tutto in euro ciò che ha ricevuto in euro…Che succede se quel ministro comunica a chi deve comprare debito italiano che forse compra a perdere e che quel forse altro non è che la volontà elettorale degli italiani?
Che succede se chiedete mille euro in prestito e comunicate che li restituite non tra sei come da prima promessa e impegno, ma forse 12, forse 18 mesi, dipende? E che forse ne restituite non mille ma novecento, e forse ottocento in carta moneta e cento più o meno in pacchi di biscotti che non avete consumato? E che quel forse, quel dipende, è l’interesse primario della vostra famiglia (la mia famiglia prima!) e l’esito della votazione in famiglia se pagare o no?
Succede che i mille euro o i 400 miliardi non ve li prestano più. O ve li prestano solo a tassi di interesse altissimi, altissimi quanto il rischio che voi non paghiate. E succede che oltre determinati livelli di interesse e quindi di rischio, per accordo europeo di comprensibile auto tutela, Bce non può più comprare i vostri titoli di Stato. E quindi letteralmente non avete più liquidità, liquido, soldi. Soldi da far circolare non ne avete più. E allora per forza dovrete mettere in circolazione altra moneta, uscire dall’euro. E l’altra e nuova moneta varrà di meno, chissà quanto meno, dell’euro. E in nuova moneta dal valore inferiore saranno pagati stipendi pubblici, pensioni, ospedali, scuole…
Questa la conseguenza già visibile, probabile se non addirittura inevitabile, di una gestione del Tesoro da parte di Paolo Savona. Cui non si accolla e imputa nessun reato d’opinione. Legittimo che lui ritenga cosa buona e giusta portare l’Italia fuori dall’euro o l’euro fuori dall’Italia.
Ma, ricorda Mattarella, è suo dovere istituzionale opporsi al danno manifesto del risparmio degli italiani. Tanto più che l’uscita dall’euro che Savona incarna non era nei programmi elettorali votati, non è nel Contratto Governo Salvini-Di Maio-Conte. Probabilmente è nella testa di Salvini, ma l’uscita dall’euro gli italiani non l’hanno ancora votata. E non ci si può arrivare per la via breve di una nomina ministeriale.
Perché domanda Mattarella in maniera netta anche se non esplicita un leghista di alto livello, ad esempio Giorgetti, ministro del Tesoro è impedire alla Lega di governare e invece Savona ministro del Tesoro è governare liberi e per davvero? Forse, anzi senza forse perché Savona è la vera cifra delle intenzioni della Lega, perché Salvini sa come sa Mattarella che con Savona si esce dall’euro senza neanche passare da un referendum.
Mattarella racconta, racconta che era pronto a dare il via al governo, governo M5S-Lega che ha aspettato, aiutato a nascere. Racconta di aver voluto che nascesse. Racconta di una Costituzione che assegna alla presidenza della Repubblica la tutela dell’interesse generale. Racconta di una Costituzione che è quella scritta e legittima e che non è quella di Salvini e Di Maio e Meloni e tanti altri e tanta gente dove chi arriva primo alle elezioni non solo comanda in Parlamento e al governo ma comanda anche sulle regole della convivenza politica e sociale.
Racconta di aver chiesto a Conte, a Salvini, a Di Maio un ministro del Tesoro leghista, un politico di massimo livello della Lega. Racconta di non aver messo veti sulla Lega. Racconta invece di non aver voluto firmare di suo pugno l’atto politico di avvio del processo di uscita dall’euro, uscita realizzata peraltro di straforo, provocandola e poi dandone la responsabilità alle perfidi Berlino e Bruxelles (è questa la strategia conclamata di Savona, cui va il riconoscimento di non averla mai nascosta, anzi di averla più volte e in più modi pubblicizzata).
Mattarella non ha voluto essere il responsabile storico di questo danno nazionale. Ma ora è dramma, ora non è solo chissà quale governo provvisorio e chissà quali mercati per settimane e settimane e chissà quali elezioni bis e quando. Ora è la maggioranza degli elettori, la maggioranza in Parlamento, gran parte della pubblica opinione e i partiti più votati che si sentono e si dichiarano e proclamano il vero potere legittimo contro il legittimo agire del capo dello Stato e contro la lettera e la sostanza della Costituzione.
Quando due legittimità si sentono tali, importa relativamente poco quale sia quella vera e quella presunta, di solito finisce male, molto male. Si tratta tecnicamente e forse non solo tecnicamente delle condizioni necessarie e sufficienti per una guerra civile. Incruenta, fino a che ce la fa a restare tale.