Matteo Renzi: no alla guida del Pd. Con Fabrizio Barca divisi partito e governo?

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Matteo Renzi con Maria De Filippi

Al Partito Democratico, secondo Angelo Panebianco che lo scrive sul Corriere della Sera, serve che Matteo Renzi

“(come fece il suo modello Tony Blair) si impadronisca del partito, lo trasformi, anche a costo di pagare il prezzo di una scissione a sinistra, per farne il docile strumento di una politica innovatrice, e dopo (e soltanto dopo) si candidi alla guida del governo”,

mentre Matteo Renzi

“si dichiara non interessato alla leadership del partito”.

Quando lo dice,

“il suo eloquio brillante e veloce non riesce a nascondere la debolezza della sua posizione”.

Sbagliato e contraddittorio è dire che

“non conta chi controlla il partito ma conta che il partito non sia autoreferenziale (come spesso accade ai partiti caratterizzati dalla presenza di consistenti apparati) e che, pertanto, per rinnovarlo, occorra eliminare il finanziamento pubblico”.

La contraddizione sta nel fatto che

“il finanziamento pubblico, grazie al quale si sono fin qui riprodotti gli apparati, si mantiene per il fatto che quegli apparati riescono di solito a procurarsi leadership compiacenti, che li tutelino”.

Di conseguenza, l’ammonimento a Matteo Renzi è:

“Se vuoi ridimensionare l’apparato (che consideri una causa dell’autoreferenzialità) eliminando il finanziamento pubblico, devi impadronirti del partito. Probabilmente lo si vedrà fra breve, quando cominceranno le sorde resistenze parlamentari contro la proposta del governo tesa ad abolire il finanziamento pubblico”.

Infatti,

“il Partito Democratico è, soprattutto, la sua segreteria e la sua tesoreria. Se non ti prendi segreteria e tesoreria sei destinato a contare poco o nulla.

L’allarme di Angelo Panebianco:

“Una leadership che si presenta come innovatrice [non può saldarsi] a una strategia che fa tanto Prima Repubblica. Una strategia del tipo: a me il governo, a voi il partito. Come nella vecchia Dc: la segreteria all’esponente della fazione A, Palazzo Chigi all’esponente della fazione B”.

La cosa peraltro quadrerebbe con l’accordo tra Matteo Renzi e Fabrizio Barca di metà aprile, di cui si era parlato molto prima che saltasse la testa di Pierluigi Bersani e si scatenasse la bagarre per il Presidente della Repubblica.

 

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