ROMA – Il Pd romano è commissariato ed affidato a Matteo Orfini. Il giorno dopo la grande retata che ha travolto la politica capitolina sotto il peso di una presunta cupola nera di intrecci politico-mafiosi comandata da Massimo Carminati, il premier Matteo Renzi corre ai ripari. L’annuncio lo ha dato a Bersaglio Mobile, in onda su La7.
“Sono sconvolto – ha detto il premier – vedere il procuratore di Roma parlare di Mafia è una cosa che mi colpisce molto. Vale per tutti il principio di presunzione di innocenza. Certo si resta sconvolti. Ho accolto il passo indietro del segretario del Pd romano Lionello Cosentito e ho proposto il commissariamento del Pd affidandolo a Matteo Orfini”.
Urge pulizia, ma Renzi non esita a fare scudo sul ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, fotografato ad una cena con Salvatore Buzzi, Luciano Casamonica, Gianni Alemanno, Franco Panzironi, Umberto Marroni, Giordano Tredicine, Sveva Belviso.
La foto è stata scattata il 28 settembre 2010 al Centro di Accoglienza “Baobab”. Fu tirata fuori una prima volta durante la campagna elettorale per le comunali di Roma nel 2013. Rispondendo a Marco Travaglio, il premier mette la mano sul fuoco:
“Non le consento di mettere in mezzo Giuliano Poletti perché ha partecipato a una cena. Poletti è totalmente fuori, è un galantuomo, ne ho apprezzato lo straordinario rigore morale il suo valore civile e politico”.
Per Renzi il Pd Roma ormai non è solo un fastidio di beghe correntizie e dissidi col sindaco “marziano” Ignazio Marino. Ma è un vero problema Capitale, una emergenza morale da affrontare subito. Il commissario designato, Matteo Orfini, aveva già fatto sapere come la pensava: “Il partito a Roma va rifondato”.
“C’è una questione di sistema sulla selezione della classe dirigente affidata sempre più all’esterno con le primarie e le preferenze, un meccanismo che rende più difficile il controllo da eventuali infiltrazioni”.
Ma a differenza di Orfini, Renzi non condivide l’allarme sul rischio che le primarie e le preferenze rendano i partiti più filtrabili dalla corruzione. “Io vado avanti su una riforma elettorale con le preferenze, non penso che inquinino la politica”, garantisce mettendo la mano sul fuoco sia sulle cene a pagamento del Pd sia sul ministro Poletti presente ad una cena con indagati.
Incalzato da Mentana, Renzi risponde a tutte le domande. Non ha “la più pallida idea” se Salvatore Buzzi fosse alla cena per la raccolta fondi per il Pd all’Eur ma puntualizza che i partecipanti erano registrati.
“Si sa chi c’è – chiarisce – come e quando, sono cene trasparenti e io rivendico che il Pd non si fa finanziare di nascosto ma pubblica i suoi finanziatori”.
Così come non considera uno strumento per infiltrare la politica le primarie e le preferenze, usate nelle leggi elettorali nei Comuni e che il premier vuole inserire nell’Italicum. “Chi ruba va a casa ma io non faccio di tutta l’erba un fascio”, distingue il segretario Pd. Che punta ad archiviare velocemente l’inchiesta romana per andare “avanti tutta” sulle sue priorità, Italicum in testa.
Riforma del voto che Renzi crede ancora si possa fare con Silvio Berlusconi. In nome di quel patto del Nazareno che però, assicura a Marco Travaglio ospite di Bersaglio Mobile, “non contiene né l’agibilità per Berlusconi né intese sul Quirinale perché il prossimo presidente della Repubblica si cercherà di votarlo a larga maggioranza”.
Davanti alla retata che ha coinvolto molti esponenti del Pd romano, Renzi lo ribadisce non ci sta ad accostare una vicenda locale a responsabilità nazionali: “Io ho messo Cantone all’Anticorruzione, ho commissariato il Mose, sono intervenuto per Expo ma capisco che questa vicenda sconvolga”.
Intanto in casa Pd, è un po’ come assistere al crollo del Colosseo. Perché qui un tempo c’era il Modello Roma, virtuoso sistema amministrativo nell’asse di continuità Rutelli-Veltroni. Mentre ora alcuni pezzi politico-amministrativi del partito si ritrovano iscritti a vario titolo nelle quasi 1200 pagine di un’ordinanza che disegna una Roma melmosa e illegale.
A risultare indagati sono l’ormai ex assessore Daniele Ozzimo, l’ex presidente dell’Assemblea capitolina Mirko Coratti e il consigliere regionale Eugenio Patanè. Ma nell’ordinanza vengono citati uomini come Umberto Marroni, ex capogruppo in Campidoglio del partito. E poi c’è un arrestato eccellente come Luca Odevaine, già vicecapo di gabinetto di Veltroni. Per non parlare dei tanti dirigenti, funzionari, manager di “area” o comunque vicini al Pd indagati o arrestati.
“Emerge a Roma un partito da ricostruire su basi nuove. Credo che la segreteria nazionale darà al più presto una risposta”, riflette Orfini. E ha messo nelle sue mani il commissariamento. La richiesta ora è fare pulizia e anche subito. Già ieri il ministro Maria Elena Boschi aveva sottolineato che “il Pd romano deve fare chiarezza: evidentemente a Roma c’è un problema”.
La valanga giudiziaria è arrivata in un momento di tensioni politiche forti all’interno del partito romano e laziale: da una parte tra il sindaco e la sua maggioranza, tanto che si era arrivati a parlare di nuove primarie per il primo cittadino, criticato soprattutto da quel Pd ora sconvolto dall’inchiesta; dall’altra la vicenda del deputato Marco Di Stefano accusato di aver preso una tangente milionaria quando era assessore regionale nella giunta Marrazzo.
Uno scenario che, a 10 giorni dall’assemblea nazionale fissata per il 14 dicembre, porta oggi il deputato del Pd Walter Verini, capogruppo della Commissione Giustizia del Pd alla Camera a dire di augurarsi
“che davanti a una situazione di emergenza come quella che si è profilata a Roma il Pd risponda con decisioni di emergenza all’altezza della situazione”.
Non meno dure le parole del deputato del Pd Roberto Morassut, già assessore nella giunta Veltroni, che chiede
“l’azzeramento del tesseramento e degli organismi assembleari eletti a Roma, nelle province e a livello regionale”.
E punta il dito contro le
“tribù interne del partito, non correnti ma tribù che si confrontano solo sul terreno del potere”.
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