ROMA – L’amministratore delegato delle Ferrovie Mauro Moretti ha detto quello che pochi hanno il coraggio di dire minacciando, di fronte all’annunciato taglio delle retribuzioni dei manager pubblici, di trasferirsi all’estero.
Questo, riferisce Repubblica, ha sollevato un coro di politici, amministratori, sindacalisti, tutti a replicare a Moretti e insultarlo.
In realtà, sempre più numerosi sono in Italia quelli che la pensano come Moretti, non solo manager pubblici. L’Italia è ormai il paese dell’invidia e dell’odio sociale, sta diventando come l’Argentina di Peron e dei suoi descamisados.
Maurizio Lupi, ministro dei Trasporti, quindi referente diretto di Moretti, ha dato il la con una dichiarazione che Repubblica ha definito “lapidaria”:
“Credo che se un manager ha voglia di andare via è libero di trovare sul mercato chi lo assume a uno stipendio maggiore”.
Non poteva mancare Susanna Camusso, segretario della Cgil anche se il suo ragionamento è corretto almeno a metà. Non quando dice che:
“non c’è dubbio che ci voglia un tetto agli stipendi dei manager”
ma quando, partendo dalla necessità
“dell’innalzamento dei salari più bassi”
cosa che costituisce l’essenza del suo mestiere, allarga il discorso e lo fa in modo equilibrato:
“Non intendo discutere delle retribuzioni dei singoli; noto che in questi anni si è progressivamente abbassato il valore delle retribuzioni dei lavoratori e alzato quello degli alti manager e dirigenti. Bisogna ricostruire una forbice ed è più ragionevole farlo partendo dall’innalzare i bassi livelli, mi sembra la cosa migliore”.
Il resto è un imbarazzante coro peronista, da Raffaele Bonanni della Cisl, a Antonio Satta, dell’Ufficio di Presidenza dell’Anci, al segretario calabrese del Pd Ernesto Magorno, regione d’Italia dove più eclatanti nella loro inutilità economica e sociale sono gli sprechi per mantenere i quali chiedono i sacrifici a noi.
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