Melfi, Napolitano alla Fiat: superare l’episodio in attesa dei giudici

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Giorgio Napolitano

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è intervenuto nella vertenza sindacale e giudiziaria che oppone la Fiat alla  Cgil dopo il licenziamento di tre operai, due dei quali sindacalisti della Fiom. La Fiom rappresenta i lavoratori metalmeccanici iscritti alla Cgil ed è stata ed è alla guida della componente più estremista anche nello stabilimento ex Alfasud di Pomigliano d’Arco.

Napolitano ha mandato un messaggio chiaro alla Fiat: anche voi dovete rispettare le sentenze dei giudici. E all’appello che i tre lavoratori licenziati gli hanno rivolto ha risposto auspicando che il difficile momento venga superato e l’azienda attenda la decisione finale dei giudici.

Napolitano ha definito “grave” la vicenda dei tre operai della Fiat di Melfi licenziati, poi reintegrati dal giudice del Lavoro e che ora l’azienda non vuole comunque far tornare a lavorare. E si capisce benissimo che il Capo dello Stato guarda ai giudici come a una speranza, auspicando che risolvano la situazione e che la risolvano a favore degli operai. Un intervento del genere da parte del Capo dello Stato non si era mai visto e se anche la partecipazione di Napolitano alla vicenda, ormai degenerata in uno scontro frontale tra Fiat e una delle più grandi organizzazioni sindacali italiane, la Cgil, è comprensibile sul piano emotivo e umano e corrisponde a un tratto di grande empatia del Presidente, non v’è dubbio che abbia anche costituito una scelta di campo che, in questa possibile vigilia di campagna elettorale, può trasformarsi in un duro colpo per la sinistra.

La pozizione del presidente Napolitano è chiara e semplice. Attendiamo cosa decide l’autorità giudiziaria, è la sua linea. Rispondendo all’appello dei tre lavoratori della Fiat di Melfi, il Capo dello Stato ha espresso  ”vivissimo auspicio, che spero sia ascoltato anche dalla dirigenza della Fiat, che questo grave episodio possa essere superato, nell’attesa di una conclusiva definizione del conflitto in sede giudiziaria, e in modo da creare le condizioni per un confronto pacato e serio su questioni di grande rilievo come quelle del futuro dell’attività della maggiore azienda manufatturiera italiana e dell’evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globale”.

Come spessso succede in queste circostanze, la valanga della polemica ha guadagnato sempre più momento, fino a che si sono persi di vista due elementi di rilievo per la comprensione: l’episodio iniziale e se la Fiat eserciti un diritoo o violi la legge.

Il licenziamento è stato causato da un episodio del 14 luglio. Secondo l’azienda i tre ostacolarono il percorso di un carrello robotizzato durante un corteo interno. Il blocco del carrello robotizzato, secondo l’azienda, impediva ad altri operai, che non partecipavano allo sciopero e al corteo interno, di lavorare.Secondo la Fiat, «i comportamenti contestati ai tre scioperanti sono stati di estrema gravità, in quanto, determinando il blocco della produzione, hanno leso la libertà d’impresa, causato un danno economico e condizionato il diritto al lavoro della maggioranza degli altri dipendenti che non avevano aderito allo sciopero».

Secondo il giudice del lavoro di Melfi, al contrario, il licenziamento ha avuto carattere di ”antisindacalita”’ ed è quindi stato annullato. Il giudice del lavoro ha ordinato l’immediato reintegro dei tre nel loro posto. Ssecondo il sindacato ”la sentenza indica che ci fu da parte della Fiat la volontà di reprimere le lotte a Pomigliano d’Arco e a Melfi e di ‘dare una lezione’ alla Fiom”.

Ma la Fiat ha dato una propria interpretazione molto restrittiva della sentenza e con un telegramma ha chiesto ai tre lavoratori di non presentarsi, come previsto dai loro turni lunedì 23, affermando di nom volere avvalersi della loro prestazione  pur continuando a pagare loro lo stipendio”.

Poteva farlo, la Fiat? Evidentemente sì, altrimenti a parte quel che avrebbe  fatto il giudice di Melfi,  lo stesso presidente della Repubblica non avrebbe mandato un appello ma i carabinieri.

A sostegno del suo buon diritto, la Fiat ha diffuso una nota  che, malgrado “la ferma convinzione” che nella sentenza, contro la quale è già ricorsa in appello, non siano stati colti compiutamente gli aspetti disciplinarmente rilevanti della questione”, è stato “doverosamente eseguito il provvedimento di reintegro”.

Lo ha fatto a modo suo.

Quando Barozzino, Lamorte e Pignatelli, alle 14 di lunedì sono arrivati in fabbrica,sono stati accolti da un fragoroso applauso dai compagni di lavoro, ma poi sono stati bloccati dai sorvegliant, che li hanno trattenuti nei loro uffici per quasi due ore. Dopo una fase di stallo, i legali della Fiom, enmtrati in fabbrica con i tre licenziati e con un ufficiale giudiziario, hanno avuto conferma che la Fiat avrebbe accettato la loro presenza solo a patto che i tre si fossero limitati a svolgere attività sindacale, senza tornare al lavoro sulle linee di produzione. A quel punto i tre operai hanno deciso di lasciare lo stabilimento.

Ancora una volta martedì 24 i tre, Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, si sono presentati davanti ai cancelli della fabbrica. Questa volta però sono rimasti davanti ai cancelli.

Consapevoli di non avere molti spazi di manovra i tre operai  hanno lanciato un appello al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, chiedendo di intervenire nella vicenda “per farci sentire lavoratori, uomini e padri”. E il messaggio del Presidente della Repubblica non è tardato ad arrivare:   ”Cari Barozzino, Lamorte e Pignatelli,  ho letto con attenzione la lettera che avete voluto indirizzarmi e non posso che esprimere il mio profondo rammarico per la tensione creatasi alla FIAT SATA di Melfi in relazione ai licenziamenti che vi hanno colpito e, successivamente, alla mancata vostra reintegrazione nel posto di lavoro sulla base della decisione del Tribunale di Melfi”.

”Anche per quest’ultimo sviluppo della vicenda – ricorda il capo dello Stato – è chiamata a intervenire, su esplicita richiesta vostra e dei vostri legali, l’Autorità Giudiziaria: e ad essa non posso che rimettermi anch’io, proprio per rispetto di quelle regole dello Stato di diritto a cui voi vi richiamate. Comprendo molto bene come consideriate lesivo della vostra dignità ‘percepire la retribuzione senza lavorare’. Il mio vivissimo auspicio, che spero sia ascoltato anche dalla dirigenza della FIAT, è che questo grave episodio possa essere superato, nell’attesa di una conclusiva definizione del conflitto in sede giudiziaria, e in modo da creare le condizioni per un confronto pacato e serio su questioni di grande rilievo come quelle del futuro dell’attivita’ della maggiore azienda manufatturiera italiana e dell’evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globale”.

Il messaggio di Napolitano arriva dopo una’altra giornata tesa a Melfi. E dopo che anche il ministro del Lavoro Altero Matteoli si è schierato contro la Fiat dicendo: “Le sentenze vanno rispettate anche quando non ci fanno piacere”. “Se il nostro è uno stato di diritto – ha detto il ministro al Meeting di Rimini – non lo può essere a fasi alterne. C’è una sentenza e va rispettata”.

A sostenere la protesta dei lavoratori, all’indomani della denuncia presentata dalla Fiom contro Fiat, è intervenuta anche la Cgil per spingere l’azienda a fare tornare i tre alle file di produzione. Il vice segretario generale del sindacato, Susanna Camusso,sostiene che la Fiat “deve rispettare” la sentenza della magistratura sul reintegro degli operai di Melfi anche perché le ragioni fornite “sono pretestuose”.

Ma è soprattutto l’aspetto umano della vicenda che ha avuto oggi il sopravvento su quelli lavorativi e giudiziari. Mentre i legali della Fiom si stanno consultando ”per decidere la strada più giusta da intraprendere, per non depotenziare l’effetto positivo del decreto del giudice che aveva disposto il reintegro dei lavoratori”, e stanno preparando ”la memoria difensiva da allegare alla denuncia nei confronti della Fiat alla Procura della Repubblica per non aver ottemperato al provvedimento”, Antonio Lamorte, uno dei tre operai al centro della vicenda, ha rinunciato a malincuore al viaggio di nozze: ”Ci siamo sposati il 5 agosto scorso – ha raccontato – e saremmo dovuti partire ieri per una crociera. In un primo tempo, con mia moglie, avevo pensato soltanto di rinviare il viaggio di nozze, anche perche’ il giudice del lavoro aveva ordinato alla Fiat il nostro reintegro il 23 agosto, giorno previsto per la partenza. Ma poi, con la piega che ha preso la vicenda, abbiamo deciso di annullare il viaggio”.

E’ molto preoccupato anche Marco Pignatelli, che si è detto ”sconcertato per tutto quello che sta accadendo”, cosi’ come Giovanni Barozzino che stasera, al cambio del turno, si rituffera’ nell’attivita’ sindacale (e’ delegato Fiom insieme a Lamorte) e sara’ nuovamente davanti ai cancelli della fabbrica ”per fare volantinaggio e distribuire ai lavoratori una copia della lettera inviata al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Mi sento stanco e moralmente a terra – dice Barozzino – ma non ho assolutamente intenzione di mollare. In certi momenti mi sento distrutto, e in famiglia sono molto preoccupati perche’ mi vedono nervoso. Ma lottero’ fino alla fine”.

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