ROMA – Il governo Letta cerca affannosamente di evitare che il 16 gennaio prossimo dieci milioni di italiani siano costretti a pagare una “mini-Imu“. Scrive Mario Sensini sul Corriere:
“Cancellare la mini-Imu a carico dei cittadini non dovrebbe costare più di 200 milioni di euro. E che, arrivati a questo punto, si cercherà a tutti i costi di risolvere, anche se la soluzione non è affatto semplice. E rischia di essere più dolorosa del problema stesso.
[…] Far pagare la tassa il 16 gennaio e poi restituirla è una possibilità, ma non incontra molti sostenitori, anche perché rischia di rendere tutto più complicato. Di sicuro l’operazione non può essere fatta in deficit, perché a quel punto il Tesoro si opporrebbe. L’unica alternativa possibile, non certo meno complicata, è quella di trovare i circa duecento milioni di euro che servirebbero nei venti giorni che mancano alla fine dell’anno e alla chiusura dei conti pubblici, che restano sul filo del 3%, e sui quali è acceso il faro di Bruxelles.
Prima ancora di pensare a dove trovare i soldi, però, bisogna calcolare esattamente la spesa, cioè quanto serve per coprire il 40% della differenza tra l’aliquota base dello 0,4% e quella decisa dai comuni, che sarebbe a carico dei cittadini. Già questo è un problemino di non poco conto. Il decreto che ha cancellato la prima rata dell’Imu sulla prima casa ha fissato al 30 novembre il termine per le delibere comunali di modifica delle aliquote e la loro pubblicazione entro il 9 dicembre. Stabilendo che queste delibere avessero valore legale solo con la pubblicazione non più sul sito internet del Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia ma, grazie ad un emendamento parlamentare, sui siti “istituzionali” di ciascun singolo comune. Bisognerà andarseli a spulciare uno ad uno, oppure chiedere ai sindaci la cortesia di trasmetterli, per sapere quanti e quali comuni hanno deciso l’aumento e calcolare, così, il mancato gettito dei comuni che dovrà essere compensato dallo Stato, visto che ormai i bilanci comunali sono stati chiusi”.
Di che proporzioni è il pasticcio Imu? Lo spiega bene La Stampa:
In particolare, dal quinto comma dell’articolo 1, in base al quale la differenza tra l’ammontare dell’imposta municipale risultante dall’applicazione dell’aliquota e delle detrazioni (previste a seconda dei casi), «deliberate o confermate» dal comune per l’anno 2013 resta, per il 40%, a carico del contribuente. Una situazione che interessa, per ora, qualcosa come 2.700 città italiane, tenuto conto delle amministrazioni (circa 800) che hanno disposto l’aumento dell’aliquota nel 2013 e di quelle che lo hanno fatto nel 2012 confermandolo nell’anno in corso. Ma potrebbero aggiungersi altri comuni: il termine per ritoccare le aliquote scade, d’altra parte, il 9 dicembre.
Calcoli complicati, tempi ristretti, soluzioni obbligate: recuperare quei 200 milioni di euro dall’acconto dell’Iva o dalle accise (benzina, sigarette, alcol…). Ancora Sensini sul Corriere:
Un lavoro che richiederà almeno qualche giorno, e che riduce ancor di più il tempo a disposizione del governo per incassare il necessario. Arrivati quel punto, le opzioni praticabili per incassare la cifra necessaria sono pochissime. Anzi, secondo i tecnici ce n’è una sola: agire di nuovo sugli acconti fiscali. Incassati quelli Ires e Irap, già aumentati, non resta che l’acconto dell’Iva, dovuto il 27 dicembre. Oggi è pari all’88% e dovrebbe essere alzato di qualche punto. E poi compensato nel 2014. Come? L’indiziato numero uno sono, ancora una volta, le accise. Anche se così, la tassa sulla casa finirebbe per pagarla anche chi non ce l’ha.
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