ROMA – Al calar dello spread… iniziano le preoccupazioni del premier Mario Monti, che si è reso conto del “risveglio” dei partiti della strana e larghissima maggioranza che lo sostiene. I partiti hanno ripreso a fare quello che facevano prima di entrare in letargo dopo la caduta di Silvio Berlusconi: portare l’Italia sull’orlo del fallimento. Monti, che in questi pochi mesi di visibilità mediatica si è dimostrato allenato a fare buon viso a cattivo gioco, ha dovuto ammettere che ha notato “prematuri e pericolosi impulsi a rilassamento” nella marcia lacrime e sangue verso risanamento dei conti pubblici.
Lo ha detto in commissione Attività produttive e Finanze della Camera. “Ogni arretramento può provocare cadute gravi del sistema”. Lo ha sottolineato a poche ore dal vertice con Angelino Alfano, Pier Luigi Bersani e Pierferdinando Casini, leader di Pdl, Pd e Terzo Polo, la strana e larghissima (finora) maggioranza che sostiene il governo del “professore”. Un vertice che era saltato il 7 marzo perché Alfano (si scrive Alfano ma si legge Berlusconi) aveva sentito che si sarebbe parlato di tv (Rai) e un disegno di legge sulla corruzione. “Il governo Monti è nato per occuparsi dell’emergenza dei conti pubblici, del resto dovrebbe occuparsene un governo politico”. Monti non esca dal recinto dell’economia, questo è l’avvertimento che gli ha lanciato il segretario del partito di maggioranza relativa.
Ma l’impressione è che già in quel recinto Monti e i suoi ministri si muovano con una certa fatica. Dopo il decreto “Salva Italia”, che si sarebbe potuto ribattezzare “Tassa Italia”, tutti si aspettavano da Monti un salto di qualità e il primo ad aspettarselo forse era proprio lui. Ma già sulle “liberalizzazioni” e sulle “semplificazioni” ha dovuto subire inerme il frullato che commissioni parlamentari e Camera e Senato hanno fatto dei decreti che il suo governo aveva preparato e che i maggiori quotidiani italiani avevano rilanciato a colpi di entusiasti dossier. Quello che rimane dell’azione del governo Monti, dopo il “massaggio” del Parlamento, è un precipitato di buone intenzioni. Il decreto “Cresci Italia” sembra più un “Resta così, Italia”.
Così sta per succedere con “la riforma” del lavoro, che nella migliore delle ipotesi finirà come “la riforma” delle pensioni: un accenno di riforma e niente più. E la colpa sarà dei veti incrociati dei partiti e delle parti sociali. Ma il governo, soprattutto il ministro del Welfare Elsa Fornero, ci avrà messo del suo, sollevando inutili polveroni con il “dichiarazionismo”, malattia infantile del tecnico prestato alla politica.
Passato lo spread, ingabbiato lo Monti, insomma. Il premier ha la legittima paura che solo una condizione di “pronto soccorso” possa sospendere la naturale propensione dei partiti a scannarsi sul cda Rai ignorando beatamente quel mostro chiamato debito pubblico. Monti teme che la campagna elettorale sia già iniziata e forse è consapevole che l’unica cosa che la può fermare è una risalita dello spread sopra i 400 punti. Altro che benzina a due euro. Se va avanti così, i partiti non gli permetteranno di fare più niente, al governo Monti.