Monti furioso: lo spread c’è moi, con la recessione vi salvai

Monti furioso: lo spread c'è moi, con la recessione vi salvai
Mario Monti. Ci ha lasciato nei guai ma lui fa finta di niente e rivendica lo spread in calo

ROMA – Mario Monti è emerso dal fondo della nostra memoria nazionale, cui l’avevamo confinato i ricordi di una delle peggiori stagioni degli ultimi 50 anni, per fare la punta alla matita di Enrico Letta, a sua volta in un trip di immotivata vanagloria.

A fare esaltare Letta e quindi fare scattare lo stizzito Monti è stata la notizia che lo spread è sceso, per un solo giorno, venerdì 3 gennaio, sotto quota 200.

Si tratta di un fatto tecnico, spiegano gli esperti, e il Governo Letta non ha molto merito se non per il fatto che, garantendo la stabilità, evita che chi traffica con i soldi non vada nel panico.

A Mario Monti però non è andata giù che nessuno si sia ricordato di lui e ha preso, come si dice, carta e penna e ha scritto una lettera stizzita al Corriere della Sera.

La vicenda è riportata in sintesi dal Fatto, sotto un titolo già dice tutto:

“Monti contro Letta. I calcoli vendicativi del senatore a vita”.

La lettura della vicenda che offre pezzetto è desolante:

“Contro l’amarezza dell’inventario quotidiano dei parlamentari che hanno scelto civicamente di mandarlo al diavolo, l’ex salvatore della patria Mario Monti si spalma sul Corriere della Sera l’unguento della solita lezione sulle colpe altrui. Quella di Renzi è di voler sforare il 3 per cento senza offrirgli almeno il ministero di Saccomanni. Quella del premier Letta è di aver incassato lo spread sotto quota 200 senza dargliene il merito. Il Professore si vendica con vanterie da pescatore: lo spread è sceso dal giorno della sua incoronazione di 374 punti, di cui 302 sotto di lui, la miseria di 72 regnante Letta, che quindi ce l’ha piccolo. Peccato non abbia speso questo talento per contare quanti erano gli esodati prima di rovinarli con tanta fierezza”.

La lettera al Corriere della Sera è un po’ sbrodolata, ma educativa quanto deprimente. Non c’è bisogno di commenti per sottolineare le cose non proprio aderenti alla realtà. L’unica cosa che è doveroso premettere è che, quali che siano stati i meriti di Mario Monti, una cosa non sarà possibile mai perdonargli, la incompetenza dimostrata nella guida dell’Italia verso una recessione che sarebbe stata evitabile con meno terrorismo, meno blitz, meno vanità. E poi anche le promesse visibilmente irrealizzabili, più presa in giro per noi di quelle che per anni ci ha rifilato Berlusconi, che anche un bambino capiva erano balle. Vanità e mancanza di rispetto verso gli italiani, che lui si era messo in testa, come Pol Pot, di rieducare.

Ognuno può giudicare da solo:

“La discesa dello spread sotto quota 200 va salutata come un’importante tappa verso la normalizzazione della situazione finanziaria dell’Italia e dell’intera Eurozona. Quando il governo Letta entrò in carica il 28 aprile 2013, lo spread era di 272 punti. Il calo registrato premia l’impegno del governo, in primo luogo del presidente Letta e del ministro Saccomanni, e della maggioranza per l’equilibrio dei conti pubblici.

“Tale impegno va mantenuto. Non è certo ad esso, ma piuttosto a quello ancora insufficiente per le riforme strutturali, che sono da attribuire la tardiva ripresa e le scarse prospettive di crescita.

“Lo spread aveva sforato quota 200 nel luglio 2011. Per quattro mesi si era impennato fino a toccare il massimo (574 punti) il 9 novembre 2011, malgrado i consistenti acquisti di titoli italiani da parte della Bce. L’Italia, non lontana dal rischio di default, era vista in quel periodo, data anche la sua dimensione, come il più grave fattore di rischio per l’integrità dell’Eurozona e per l’economia europea.

“Da quel picco, lo spread è sceso ad oggi di 374 punti. Durante i 17 mesi del governo insediatosi nel novembre 2011, che ho avuto l’onore di presiedere, si è registrata — con pronunciate oscillazioni — una diminuzione di 302 punti. Nel corso degli 8 mesi (finora) del governo Letta, si è avuta un’ulteriore discesa di 72 punti.

“Pur operando in condizioni economico-finanziarie sensibilmente diverse e perciò con priorità in parte differenti, credo di poter dire che i due governi si sono ispirati a una stessa linea per quanto riguarda il comportamento dell’Italia nella complessa situazione dell’eurozona. Una linea che per parte mia (e certo senza pretendere di interpretare il pensiero del presidente Letta) credo di poter così riassumere:

* Era essenziale che l’Italia eliminasse i propri specifici fattori di rischio e li eliminasse con propri interventi.

* Se l’Italia con la sua crisi finanziaria avesse contribuito a determinare una crisi sistemica dell’Eurozona, per molti anni a venire lo standing economico, politico e di complessiva credibilità del nostro Paese — e con esso la nostra possibilità effettiva di influire sulle politiche europee — ne avrebbe sofferto pesantemente.

* Analogo arretramento dello status del Paese sul piano europeo e globale sarebbe avvenuto se avessimo sì scongiurato il default, evitando così di causare un contagio letale all’intera eurozona, ma per fare ciò avessimo dovuto ricorrere — come ci veniva proposto insistentemente — all’aiuto finanziario della Ue o del Fmi, cedendo alla troika il potere di decidere in modo intrusivo anche sui minimi dettagli di ogni misura.

* I tre punti precedenti sono stati formulati impiegando il passato. Ma i rischi elencati, e fin qui evitati con l’impegno di due governi, potrebbero facilmente ripresentarsi, in due casi distinti:

1) A breve termine, se nella politica italiana dovessero prevalere posizioni, sull’Europa e sulla finanza pubblica, come quelle che avevano portato alle condizioni dell’estate 2011; come quelle che hanno caratterizzato l’intero centrodestra e una parte della sinistra nella scorsa campagna elettorale; o, ancora, come quelle che contraddistinguono oggi le diverse opposizioni.

2) Un po’ più in là nel tempo, quegli stessi rischi finirebbero per ripresentarsi se dovesse persistere la mancanza di crescita economica (dati gli effetti negativi sul disavanzo e sulla sostenibilità del debito), come sarebbe da temere ove il governo attuale e la sua maggioranza non trovassero sollecitamente la volontà e la forza per riprendere ed accelerare le riforme strutturali.

“Perfino in occasione dell’odierna buona notizia sullo spread a 200, non sono mancati commenti che rivelano l’incapacità di comprendere lo svolgersi dei rapporti politici nell’Unione Europea. Quei commenti presentano un’Italia ciecamente soggiogata dai vincoli europei, puramente passiva, incapace di farsi valere a differenza di altri, inerte preda di oscuri interessi tedeschi.

“Non dicono, quei commenti, che a un tale stato di passiva impotenza l’Italia ha rischiato di arrivare davvero, ma a causa della disattenta e inefficace politica europea di alcuni governi; che ci sarebbe certamente arrivata se non avesse evitato il default o non avesse saputo stabilizzare la propria finanza pubblica senza ricorrere ad aiuti internazionali; che potrebbe ancora arrivarci se pensasse che per affermare le proprie posizioni al tavolo europeo serva «battere i pugni sul tavolo»; che si chieda se dopo tutto non sia meglio violare impegni europei che l’Italia ha sottoscritto.

Non si rendono conto, costoro, che la linea coerente di due governi ha notevolmente accresciuto in Europa:

a) l’ascolto per le esigenze italiane;

b) la disponibilità della Commissione a far beneficiare pienamente l’Italia dei margini di flessibilità che a discrezione della stessa Commissione possono essere utilizzati entro le norme attuali (come per il pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione verso le imprese e per alcuni investimenti pubblici, nel quadro dell’uscita dalla procedura di disavanzo eccessivo; benefici che un governo ha saputo ottenere e quello successivo ha saputo erogare con moderazione, senza farseli revocare);

c) infine, ed è l’aspetto più importante, l’influenza dell’Italia al tavolo del Consiglio europeo dove sono prese le decisioni strategiche.

“Un esempio significativo. A metà del 2012 era ormai chiaro in Europa che l’Italia era riuscita a riemergere dalla crisi finanziaria, con le proprie forze ed avendo evitato un crollo dell’Eurozona. Ma incontrava ancora nel mercato tassi di interesse e spread ingiustificatamente elevati. Il governo italiano intraprese allora una campagna di persuasione degli altri governi sulla necessità del cosiddetto scudo antispread , al quale tuttavia si opponevano nettamente la Germania, l’Olanda e la Finlandia.

“Dopo una serie di confronti con le autorità tedesche (e coinvolgendo anche il presidente Obama in occasioni di G8 e G20), nel Consiglio europeo del 28-29 giugno 2012 l’Italia riuscì, anche grazie a un’alleanza tattica con Francia e Spagna, a convincere tutti gli Stati dell’eurozona, alla fine anche la Germania, a dichiarare la necessità di interventi di stabilizzazione dei mercati dei titoli di Stato, a certe condizioni e limitatamente ai Paesi in linea con le raccomandazioni Ue. Mai la rigida «dottrina» tedesca aveva fatto una tale apertura.

“Sapevamo che questa dichiarazione, circostanziata e formulata al più alto livello politico, non sarebbe rimasta priva di effetti concreti. Qualche settimana più tardi la Bce, nella propria indipendenza, si mostrò sensibile all’esigenza unanimemente dichiarata dai Capi di Stato e di governo e si trovò per la prima volta nelle condizioni per annunciare, e poi articolare tecnicamente, il nuovo strumento noto come Omt (Outright monetary transactions ). Benché nessun Paese ne abbia fatto finora concretamente uso, questa intelligente innovazione della politica monetaria europea, dovuta alla saggezza e alla determinazione del presidente Mario Draghi, ha dato dall’estate del 2012 un contributo assai importante alla normalizzazione dell’eurozona e alla diminuzione dei tassi di interesse e degli spread.

“Nelle capitali europee, così come nei mercati, è opinione generale che se l’Italia non avesse risanato la propria finanza pubblica in tempi brevi e non avesse spinto con forza per il risultato poi conseguito al Consiglio europeo nel giugno 2012, né la Germania né la Bce sarebbero state disponibili ad introdurre questo miglioramento significativo nella governance dell’eurozona.

“Né pugni sul tavolo, né violazione delle regole. Eppure, l’Europa ha dovuto ascoltare l’Italia. L’Italia ha indotto l’Europa a migliorarsi. L’Eurozona è più forte.

“L’Italia è meno debole. Questo non basta certo, per la crescita. E sarà necessario intervenire ancora, anche in Europa, come il governo Letta sta facendo.

“Ma pensiamo che ne sarebbe, in Italia, dei conti dello Stato, delle tasse, della situazione delle imprese e delle famiglie se l’eurozona si trovasse ancora in una crisi acuta e i tassi di interesse e gli spread fossero ancora sui livelli che abbiamo conosciuto”.

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