ROMA – “Che monotonia il posto fisso” dice Monti e il pensiero corre subito agli “sfigati” del vice ministro Michel Martone, ai “bamboccioni” di Padoa-Schioppa: argomenti seri, serissimi, mortificati da una battuta. C’è una riforma del mercato del lavoro da fare ma non si può ragionevolmente affermare che un giovane abbia davvero scelta, il lavoro latita, le ultime stime sulla disoccupazione non incoraggiano battute di spirito. Sono dati allarmanti: non solo cresce la disoccupazione ma cala addirittura il numero di chi attualmente lavora. Giovani e adulti sulla stessa barca. Tuttavia, il ragionamento montiano è fondato, anche se ovviamente discutibile: bisogna spostare le tutele dal lavoro al lavoratore. Lo ha ripetuto anche nell’intervista concessa a Matrix, ma la scena se l’è presa tutta quel “monotono”. Quando il centro della discussione dovrebbe essere, tutti concordano a parole, come far ripartire la crescita e aumentare i posti di lavoro.
Berlusconi sul tema ha già dato, soprattutto in termini di battute, ma da quando la Cgil gli rovesciò in piazza tre milioni di persone nel 2002 a difesa dell’articolo 18, di riforma del lavoro non ne volle sapere più nulla, fino a luglio scorso quando fu la Bce a intimargli di rimetterla in agenda. Già Berlusconi: l’avesse detto lui che il posto fisso è monotono, migliaia di pullman avrebbero già iniziato a scaldare i motori per invadere la Capitale. Ma nessuno osa disturbare il manovratore Monti. Nemmeno la Cgil, che al di là delle dichiarazioni di facciata si guarda bene dal rovesciare tavoli: forse senza le rigidità e le battaglie campali a difesa dei suoi tesserati, tutti lavoratori a tempo indeterminato, oggi non avremmo una disoccupazione giovanile al 30% e un livello di precarietà del lavoro tra i più alti in Europa.
In verità Berlusconi uno strappo alla regola che si era dato lo fece, ma la battuta, estemporanea, gli uscì male, suonò inutilmente offensiva e gratuitamente volgare. A una ragazza che gli chiedeva come riuscire a formarsi una famiglia senza un lavoro stabile rispondeva di getto: “Sposi mio figlio, o un milionario, con il suo sorriso se lo può permettere”. Il sessismo implicito fece cadere le braccia non solo della ragazza e oscurò anche la sciatteria con cui il primo ministro liquidò il tema lavoro.
Stupì tutti, invece, nel 2009, sentir dire da Giulio Tremonti che il posto fisso è un valore: “La variabilità del posto di lavoro, l’incertezza, la mutabilità per alcuni sono un valore in sé, per me onestamente no. C’è stata una mutazione quantitativa e anche qualitativa del posto di lavoro, da quello fisso a quello mobile. Per me l’obiettivo fondamentale è la stabilità del lavoro, che è base di stabilità sociale”. Berlusconi stavolta lo difese a spada tratta: “Il posto fisso è un valore e non un disvalore” sentenziò, peraltro aggiungendo un ecumenico “come le partite Iva”. Difficile però che il Popolo delle Libertà si riconoscesse in un manifesto statalista del genere. E infatti il nemico giurato dell’ex ministro dell’Economia, il “genio” rivale Renato Brunetta lo rimbeccò subito, del resto proseguendo una sua guerra personale permanente: “Tremonti vorrebbe una società dei salariati. La sua è una soluzione del Novecento che non va più bene in questo secolo”. Passatista, la stessa accusa della Marcegaglia.
Meno professorale fu Brunetta con i precari che lo contestavano: “Siete la peggiore Italia” li apostrofò. Stesso problema lo ebbe la Gelmini che incalzata sul tema decise che “il precariato non è un problema reale”. Ma gli italiani in carne ossa, cosa ne pensano davvero? E’ curioso constatare come negli ultimi otto anni abbiano cambiato idea, al punto di sostituire il sogno di diventare imprenditore in proprio con il posto fisso. Il Gruppo Adecco (azienda leader nei servizi per la gestione delle risorse umane, con 32.000 dipendenti e 5.500 uffici in più di 60 Paesi) ha realizzato un sondaggio intervistando 6.445 persone sul tema: “Il lavoro che vorrei”. Interessanti le risposte. Il tipo di lavoro più ambito? Quello dell’impiegato, al centro dei sogni del 14,5% degli italiani. Seguono quello dell’esperto di marketing/organizzatore di eventi (9,95%) e quello dell’imprenditore (8,69%). Nel 2004, stesso sondaggio, classifica invertita: al primo posto il sogno di diventare imprenditore in proprio (allora per il 13% dei 1.255 intervistati), in fondo alla classifica l’idea di diventare un impiegato.
L’ultima parola spetta al Papa. Intervenuto sul tema nel maggio 2010, ha voluto rivolgere un pensiero ai precari. “Il posto fisso non è tutto” li ha rassicurati. Non era una battuta, né tanto meno voleva essere offensivo, ci mancherebbe. Ma molti non l’hanno capito proprio: la fede, la forza dello Spirito Santo, la preghiera bastano per potersi formare una famiglia?
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