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Monti, regalo in extremis: “100€ in busta paga”. Un prof “rimosso” da sé stesso

di Emiliano Condò |29 Luglio 2022 9:27

ROMA – La mossa arriva in extremis ed è l’annuncio di un regalino in busta paga: 100 euro in più ai lavoratori dipendenti, una cosa che adesso si può fare perché Europa lo permette. Mario Monti lo propone nell’ultimo giorno elettorale, nel teatro la Pergola di Firenze. Prova a chiudere la sua campagna elettorale con un “botto” e annuncia un pacchetto d’urto per la ripresa economica.

La premessa è che ora si può fare, causa miglioramento dei conti e non solo. Si può fare perché l’Europa, adesso, allenta la morsa dell’austerity, a patto che vengano mantenuti gli impegni sui conti pubblici. Tradotto vuol dire che se un Paese come l’Italia non si rimangia impegni già presi come per esempio l’Imu allora non è più così indispensabile il pareggio di bilancio nel 2013, se ne può parlare nel 2014 o anche dopo.

Significa ossigeno, possibilità di spendere qualcosa. E su questo Monti costruisce il suo piano: “Primo, tagliare il costo del lavoro per le nuove assunzioni a tempo indeterminato, eliminare da subito dall’Irap il costo del lavoro dei nuovi assunti e dimezzare i contributi previdenziali relativi ai nuovi assunti. Secondo: moltiplicare i contratti di apprendistato eliminando i contributi a carico delle imprese con più di 9 dipendenti. Terzo: raddoppiare il numero dei posti negli asili nido. Quarto: un nuovo contratto a tempo indeterminato più flessibile per tutti i nuovi assunti”. In totale, a regime, la riforma secondo il professore, costerebbe 6-7 miliardi di euro e consentirebbe ai lavoratori “di avere 100 euro in più al mese”.

Resta però la sensazione, qualcosa di più, di un Monti rimosso da tutti, anche da sé stesso. Di un tecnico versione politico da campagna elettorale impegnato quasi quanto i suoi avversari a demolire quanto fatto nei suoi 12 mesi da tecnico.  Una demolizione sistematica del Monti che fu, sia sul piano del linguaggio, sia su quello delle proposte. Sia chiaro: Berlusconi soprattutto, ma anche Bersani, hanno buttato all’aria quanto fatto dal governo precedente. Hanno glissato sul dettaglio di aver votato certi provvedimenti e ora annunciano cambi di rotta radicali. Ma era la “normale” dialettica da campagna elettorale.

Stupisce e stride di più che lo abbia fatto anche Monti. Un processo, questo, lucidamente individuato e raccontato su La Stampa da Marcello Sorgi:

“Perché il presidente del consiglio ha, sì, attaccato quotidianamente i leader del Pdl e del Pd, accusandoli di resistenze simmetriche all’azione riformatrice del governo. E tuttavia, invece di contrapporre alla sorda opposizione interna dei partner della «strana» maggioranza, quel poco o tanto di buono che era riuscito a portare a casa, risalendo la corrente contraria di una politica riottosa, Monti è apparso sovente e immotivatamente un severo critico di se stesso, e s’é rassegnato, con visibile sofferenza, a fare anche qualche limitata concessione al metodo delle promesse elettorali”.

Sorgi vede nella scelta di Monti un’occasione persa, quella di una campagna elettorale che avrebbe potuto avere toni e contenuti “altri” e che invece è rimasta ancorata al solito gioco delle stoccate e dei sondaggi compulsivi.

Come dice chi gli è stato vicino in queste settimane durissime, in cui il Professore, abituato a muoversi nella rigida cornice dei consensi internazionali, ha dovuto imparare l’arte del talk-show, forse non poteva fare altrimenti, una volta fatta la scelta di «salire» in politica e prendere partito. O forse no: il dubbio è legittimo. Se Monti fosse rimasto il Monti che avevamo conosciuto, se avesse rivendicato, contro tutto e contro tutti, il rigore delle sue scelte e il senso dei sacrifici imposti ai cittadini, e di quello suo personale, anche questa campagna così inutile e ripetitiva sarebbe stata diversa. Invece di star qui a compulsare, fino all’ultimo, le tabelle segrete dei sondaggi, saremmo andati a votare più tranquilli. Sapendo che alla fine, con qualsiasi risultato, il tecnico che aveva rappresentato la speranza e la riserva della Repubblica era ancora lì al suo posto, pronto a ricominciare il suo lavoro.

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