Moratti contro Pisapia, le dodici giornate di Milano. Berlusconi defilato, il Pdl cambia rotta

Giuliano Pisapia (foto LaPresse)

MILANO – Dodici giorni, quelli che mancano al ritorno alle urne per i ballottaggi. Dodici giornate per provare a compiere il miracolo a Milano, pensa il Pd, per provare a riprendersi una Milano fattasi improvvisamente fredda e lontana, pensa il Pdl.  Dodici giorni, che, indipendentemente da come andrà a finire, saranno diversi da tutto quello che, fino a venerdì, si è detto e fatto a Milano.

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Il tempo di superare lo shock e medicare alla bene e meglio le ferite e il Pdl si è rimesso al lavoro. Parola d’ordine: cambio di strategia, ora si parla di Milano. Stop ai colpi bassi, alle accuse di terrorismo, alle storie di furti e amnistia. Stop anche alla super esposizione di Berlusconi, lo sconfitto vero del primo turno. Nell’ordine il premier ha prima detto che avrebbe migliorato le preferenze individuali dell’ultima tornata, poi ha difeso il Lassini dei manifesti sulle Br in Procura e quindi ha spalleggiato la Moratti nel suo affondo ai limiti della diffamazione contro Pisapia. E’ successo che ha preso la metà dei voti dell’ultima volta, che Lassini è precipitato nei consensi individuali rischiando seriamente di togliere il centrodestra dall’imbarazzo del che fare in caso di elezione e che la Moratti si trova con sei punti e mezzo da recuperare al suo avversario. Visti i risultati, buon senso vuole che nelle dodici giornate di Milano Berlusconi se ne stia in disparte. Anche perché gli insuccessi personali del premier, a voler infierire, non finiscono a Milano. C’è la “sua” Arcore che va al ballottaggio, c’è Olbia dove il pupillo di Berlusconi, Settimo Nizzi, perde al primo turno.

A chiedere in modo chiaro che Berlusconi se ne stia defilato è la Lega. Numeri alla mano il partito di Bossi ha fatto il suo, senza sfondare. La campagna elettorale di Berlusconi, però, non ha aiutato. E il gelo di Bossi, quello telefonico, è solo la punta dell’iceberg. Su Radio Padania, infatti, il day after è quello delle critiche: tutte indirizzate verso il presidente del Consiglio e quindi verso i vertici del partito che quella scelta di comunicazione hanno avallato. Finisce che la Lega “oscura” il forum. Riflessione rimandata a quando le ferite bruceranno un po’ meno, magari con una Milano difesa in extremis.

Intanto il nuovo corso è già iniziato. Si segnala un La Russa insolitamente mite. Accantonati pestoni a giornalisti e scatti d’ira in un fuori onda catturato da AgenParl subito dopo il vertice Pdl il ministro della difesa spiega: “Letizia Moratti e Giuliano Pisapia avrebbero dovuto chiarirsi subito tra loro. La detenzione di Pisapia è stata ingiusta e non è mai stato condannato per i reati imputatigli”. Ancora più chiaro Mario Mantovani, mente di tutta la campagna elettorale del Pdl  a Milano e organizzatore degli stand di sostegno a Berlusconi durante i giorni dei processi: “Parleremo soprattutto di Milano il segnale dei milanesi è stato molto chiaro e ci adegueremo”.  Quasi da ramoscello della pace, se paragonate con quanto si diceva prima del voto, le dichiarazioni del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini: “Non mettiamo in discussione Pisapia, ma la sua alleanza che ha dentro Sel, il suo partito e i comitati No Expo, così come il Prc. È eterogenea e non in grado di garantire gli stessi risultati che l’alleanza di centrodestra ha garantito a Letizia Moratti e alla città. Ci stiamo preparando al ballottaggio e siamo pronti con i manifesti e i gazebo. Gli elettori hanno dato un segnale, lo abbiamo recepito. Procederemo illustrando ciò che è stato il governo di Letizia Moratti, cioè nessuna addizionale Irper, azzeramento delle liste di attesa negli asili nido e 30mila case per giovani coppie grazie al Pgt”.

Il Pd, invece, ha il vantaggio di dover cambiare poco o nulla. Si ritrova a due punti dal successo grazie alle primarie che hanno espresso un candidato diverso da quello voluto dalla segreteria nazionale e si ritrova, a sorpresa, praticamente alla pari del Pdl nei voti di lista. Le trappole, però, sono dietro l’angolo. A cominciare dai cattolici che, attraverso Radio Vaticana, hanno iniziato a lavorare contro Pisapia. E neppure troppo timidamente. I grillini, intanto, si chiamano fuori: hanno preso poco più del 3%. Se i ballottaggi seguissero le regole della matematica, e così non è mai o quasi, quei 3 sono un filo di più di quel che servirebbe a Pisapia. Ma, per Beppe Grillo, destra e sinistra sono uguali. Infine il Terzo Polo: non ha deciso e forse alla fine non deciderà. La domanda, però, resta la stessa: gli elettori dei partiti esclusi, nei ballottaggi, seguono davvero le indicazioni dei partiti?

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