Morto il democristiano Carlo Bernini, l’ultimo “doge” del Veneto

L’ultimo ‘doge’ veneto è morto a 74 anni. Carlo Bernini esce di scena in punta di piedi, dopo una vita politica e imprenditoriale tumultuosa.

L’ex presidente del Veneto ed ex ministro dei trasporti è morto il primo gennaio in una casa di riposo di Castelfranco Veneto (Treviso), poco distante dall’abitazione di Asolo dove ha sempre vissuto, mentre gli erano accanto la moglie Angela e i tre figli. Non aveva più ripreso conoscenza dopo il ricovero, la scorsa estate, in seguito ad un infarto.

Bernini è entrato così nella storia, primo attore di un modo di far politica che appartiene al passato e che lo ha consacrato tra gli Ottanta e i Novanta del secolo scorso, come il più potente uomo della Dc (e non solo) del Veneto dopo il rodigino Antonio Bisaglia e il vicentino Mariano Rumor, tutti e tre protagonisti della trasformazione di una regione che da terra di emigranti è diventata in breve tempo il locomotore del Nordest.

Il ministro per l’Attuazione del Programma di Governo, Gianfranco Rotondi, si dice in debito con Bernini: ”Ai suoi insegnamenti debbo moltissimo e nella vita non ho potuto restituirgli nulla”, osserva dopo aver evidenziato che fu ”sua l’intuizione del berlusconismo come prosecuzione eretica ma duratura della Dc. Le sue idee orientarono prima Buttiglione e poi me”.

Per il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa il ‘Doge’ è stato un “uomo di finissima intelligenza e di profonda cultura, che ha messo la sua concretezza e le sue straordinarie capacità al servizio della politica e della sua amata terra, il Veneto. Ha vissuto, politicamente e personalmente, momenti difficili con la dignità e il rispetto delle istituzioni che lo hanno sempre contraddistinto”.

Il percorso politico. Bernini, nato a Bondeno, nel ferrarese, il 6 maggio del 1936, è stato docente di economia dei trasporti nella facoltà di scienze politiche dell’università di Padova. Iscritto alla Dc dal 1952 è stato parte attiva della direzione nazionale e dell’ufficio politico del partito.

Dopo aver ricoperto per un decennio la carica di presidente della Provincia di Treviso e dell’Unione delle province venete, è stato presidente della giunta ininterrottamente dal 1980 al 1989, oltre a leader indiscusso della corrente dorotea della Democrazia Cristiana.

Per molto tempo aveva resistito alle lusinghe di una chiamata a Roma (”meglio primo a Venezia – aveva più volte ribadito – che in quinta fila nella Capitale”), finendo però per cedere. Divenuto senatore, è stato due volte ministro, tra l’89 e il ’92, sempre ai trasporti.

La sua vita politica cessò con l’avvento di Tangentopoli che arrivò anche in Veneto e cancellò anche qui un’intera classe politica. Non vennero risparmiati né Bernini e il suo eterno ‘rivale’, il socialista Gianni De Michelis, finiti sotto accusa per la vicenda dell’assegnazione degli appalti relativi alla bretella autostradale per l’aeroporto veneziano.

La parabola discendente toccò tutti e due, specchio di un Veneto che, quando occorreva, faceva sentire la propria voce (al tempo c’era anche il Pri di Bruno Visentini). Anime, entrambi, di laboratori politici, anche transnazionali.

Bernini nel 1978 promosse la comunità Alpe Adria, 12 anni dopo, nel 1990 l’allora ministro degli Esteri De Michelis dette l’avvio alla Pentagonale, un’aggregazione di stati dell’Europa centrale che all’inizio contava 5 tra regioni e paesi per poi ampliare il numero. Tangentopoli resettò tutto.

Bernini, lasciata la politica (si è iscritto all’Udc dal 2003 al 2008 e poi al Pdl) ha fondato la compagnia low cost MyAir, divenendone presidente e assistendo al suo fallimento. Per il crac, il 16 dicembre scorso, la procura vicentina ha emesso 10 provvedimenti cautelari, non chiedendolo però per l’ex ministro Bernini, proprio per le sue gravi condizioni di salute.

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