ROMA – Monte Paschi di Siena. Vittorio Grilli, ministro dell’Economia, ha ammesso che lo scandalo derivati non è stato un fulmine a ciel sereno, per poi aggiungere malizioso: “Dico solo che i controlli spettano alla Banca d’Italia”. Mentre l’assemblea dei soci in corso (venerdì 25 gennaio) si trasforma in un palcoscenico elettorale, dove ovviamente, a dispetto della drammaticità della situazione, è sempre il “socio” Beppe Grillo il più svelto a rubare la scena, il quasi omonimo Grilli, ha avviato, prima della smentita di rito, l’antico gioco dello scaricabarile, gioco che impegna la totalità dei protagonisti della campagna elettorale nella doppia veste di agitatori di parte e uomini delle istituzioni. Tutti c’entrano in qualche modo, tutti si dichiarano estranei ai fatti.
Prima che il ministro dello Sviluppo Passera e il Capo dello Stato Napolitano difendessero la Banca d’Italia, prima che una nota del Tesoro (il ministero di Grilli) esprimesse piena concordia con Via Nazionale, prima che lo stesso Governatore vergasse due righe per negare qualsiasi contrasto con il Tesoro, Grilli aveva fatto in tempo a scaricare le colpe dei mancati controlli a Mario Draghi, all’epoca dei fatti Governatore e responsabile più alto della vigilanza bancaria.
Chiamiamolo pure il classico sassolino nella scarpa, è sicuro però che l’attuale ministro dell’Economia, in qualche modo prosegue la sua guerra privata con quel Draghi che non lo volle, pose un veto alla sua nomina per succedergli alla guida di Bankitalia. Sono noti gli abboccamenti telefonici di Grilli con personaggi di potere come il Ponzellini pre caduta, le pressioni velate a Palazzo e le strategie oblique per diventare governatore. Nulla di indecente, senza ambizione e scaltrezza non si va da nessuna parte. Ma le sue parole contro Banca d’Italia rischiavano di aprire un rischioso conflitto istituzionale.
Comunque, la matassa Mps si è aggrovigliata al punto che sembra impossibile stabilire chi doveva vigilare cosa, chi sapeva e non ha agito, chi non sapeva e allora che controllava a fare, chi non poteva non sapere ecc… Monti porta il nome dei bond emessi per sostenere Mps, ma delegherà Grilli a riferire in Parlamento sulla vicenda, senza rinunciare, però, alla stoccata contro Bersani (“Il Pd c’entra eccome”). Grilli accusa Banca d’Italia (poi ritratta) per la sua guerra privata anti-Draghi ma dimentica il piccolo particolare che anche lui sedeva comodamente nel board di Palazzo Koch.
Tremonti accusa tutto e tutti ma intanto è stato il primo a sottoscrivere le prime obbligazioni per Mps. Il Pd trova giusta la riflessione per cui il rapporto tra banche e territori ingeriti dai partiti è perverso, ma poi stenta a riconoscere che Siena, quel territorio è occupato integralmente e perversamente proprio dal Pd. Il Pdl, con Alfano in prima, linea, non può non sfruttare l’occasione irripetibile a 30 giorni dal voto per inchiodare l’avversario alle sue responsabilità. E Berlusconi? Niente, la vicenda non lo appassiona. E poi è legato sentimentalmente a Mps che gli procurò i finanziamenti per Milano 2 e Milano 3. Non ha voglia di speculare sulle disavventure della banca. Anche perché dentro c’è custodito il 15% del suo patrimonio. Ah, ecco.