Mucchetti, lettera al Corriere: “Passare dallo scrivere al fare è uno sviluppo”

Massimo Mucchetti

ROMA – Una lettera al Corriere della Sera in cui Massimo Mucchetti, ex vicedirettore del quotidiano, spiega le regioni della sua discesa in politica e i motivi che l’hanno quindi spinto a lasciare la redazione del Corriere della Sera.

Caro direttore,

l’altro ieri, nell’inserire una mia dichiarazione nel servizio sulla giornata politica, il Tg1 mi ha presentato come vicedirettore del Corriere . Per evitare l’equivoco che la mia fosse ancora una voce del giornale, pochi istanti dopo ti ho mandato una mail nella quale chiarivo di aver già cessato di scrivere, una volta annunciata la mia candidatura come indipendente nelle liste del Pd. E tu hai titolato: «Mucchetti lascia il Corriere». Oggi, dunque, sono un ex vicedirettore ad personam. Ma quel testo, forse, era troppo conciso. Molti lettori, infatti, mi hanno scritto per chiedere maggiori lumi su questa scelta, del tutto personale, dopo 9 anni in via Solferino. Dalla grande maggioranza ho ricevuto parole di incoraggiamento, e li ringrazio: ne ho bisogno. Altri hanno manifestato riserve, ed è a loro che ti chiedo la cortesia di potermi rivolgere in libertà, com’è costume dalle nostre parti (mi perdonerai se uso ancora l’aggettivo nostre: è l’affetto).

Ma come, si chiedono alcuni lettori, lei, Mucchetti, si rende conto che, adesso, rinuncia alla sua indipendenza? Risposta: non rinuncio alla mia indipendenza di uomo che, cercando di ragionare con la propria testa, collaborerà, se eletto, con i nuovi colleghi e non avrà timore della solitudine, ove il suo contributo non venisse apprezzato. Credo di averne già dato prova in qualche frangente anche al Corriere, dove venni assunto da Stefano Folli, e gliene sono ancora grato, e dove ho infine trovato un ampio spazio con te, Ferruccio de Bortoli, e ti ringrazio di cuore. Certo, il Parlamento non è una redazione, ma l’area del centrosinistra è oggi quella a maggior tasso di democrazia reale.

Il centralismo dell’antico Pci non caratterizza più da anni il regime interno del Pd, crogiuolo di diverse culture politiche. Mi pare invece di ritrovarlo, spesso in forma caricaturale, in altri partiti dove il leader pensa per tutti.

 

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