ROMA – C’è l’omicidio (politico), ci sono i sospettati, gli indizi, i personaggi ambigui. E c’è come in ogni “giallo” che si rispetti un movente. Ma “Giorni bugiardi” è un giallo un po’ particolare. Il cadavere, infatti, è quello di Pier Luigi Bersani, ex segretario del Pd dimessosi dopo la mancata vittoria elettorale e il flop durante le elezioni del nuovo presidente della Repubblica.
A raccontare gli ultimi giorni di Bersani leader in chiave di assassinio politico sono due bersaniani di ferro, Stefano Di Traglia, ex portavoce e spin doctor, e Chiara Geloni, direttrice di You Dem.
I sospettati sono soprattutto due: Matteo Renzi e Massimo D’Alema. Due che hanno avuto in un partito assente un chiaro alleato. Il delitto di Giorni Bugiardi si consuma nei giorni delle elezioni per il Quirinale. Il Pd si riunisce dopo la mancata elezione di Franco Marini e acclama la candidatura di Romano Prodi. Poche ore dopo mancano 202 mani, quelle dei 101 che hanno applaudito e non votato Prodi. E’ la mazzata finale per Bersani che chiama Napolitano, gli chiede di ricandidarsi e poi si dimette.
E che si consumi qualcosa che ha il sapore dell’omicidio politico lo si capisce, nel libro, anche da una riflessione di Bersani:
“È l’unanimità che carica la molla del tradimento. Si accumulano ammaccature e ombre, e alla prima occasione… Io ho avuto l’unanimità quasi sempre, pur non chiedendola mai: non so bene perché”.
L’unanimità, ovvero la trappola. Bersani la mattina della candidatura di Prodi sembra irremovibile. Non basta un applauso, la candidatura va votata. Le cose, ricorda il libro, vanno diversamente. Un dialogo tra Bersani e Luigi Zanda spiega bene la situazione:
“Ma se parte l’ap – plauso quando tu dici…’. Bersani è irremovibile: ‘Si vota lo stesso’. ‘I renziani ci mandano emissari a dire che loro vogliono acclamare…’, insiste timidamente Zanda. Bersani scrolla le spalle”. Le primarie non si fanno perché i grandi elettori acclamano Prodi, con il renziano Marcucci “che si distingue per foga”.
I renziani, appunto. E D’Alema, invece. Giorni Bugiardi è chiarissimo. Per tutto il tempo in cui si parla di Prodi e di Quirinale D’Alema resta defilato.
“Perché i dalemiani non chiedono il voto segreto nell’assemblea che acclama Prodi? Perché alzano la mano a favore di Prodi quando Bersani chiede che ci sia almeno un voto palese Il motivo è forse lo stesso per il quale noi non sappiamo a chi fare queste domande: in tutta questa vicenda nessuno s’intesta la battaglia di D’Alema al Quirinale”.
Ma nel libro, che è soprattutto un elogio di Bersani, non c’è solo la trappola Quirinale. C’è la questione Beppe Grillo, inseguito e corteggiato in tutti i modi, nonostante la farsa dell’incontro in streaming. Persino attraverso il suo dentista.
Infine ci sono anche “lettere segrete” tra Bersani e Napolitano raccontato come uno che non aveva la benché minima intenzione di farsi rieleggere. Ma poi… Quello che manca in Giorni Bugiardi è l’autocritica. Bersani è solo vittima e mai, in alcun modo, artefice della propria disfatta.
Chi ne esce tutto sommato “bene” è Enrico Letta. Su di lui solo un passaggio politico-calcistico. Enrico Letta è preoccupato per il Milan. Ci ha visto lungo.
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