ROMA – Antiberlusconismo addio. Il nuovo mantra del centrosinistra è “l’antirenzismo”. Forse perché come Silvio Berlusconi, anche Matteo Renzi fa paura al Partito Democratico. Come scrive Jacopo Iacoboni sulla Stampa, sul sindaco di Firenze si stanno concentrando le “demonizzazioni, offese, sufficienze, paternalismi, sopracciglia alzate”
Dopo la presentazione del suo programma (le “cento idee”) alla Leopolda, Renzi venne liquidato dal segretario del suo partito Pierluigi Bersani: “Non scambiamo per nuove idee che sono un usato degli anni ottanta. Non pensare che un giovane per andare avanti deve scalciare”.
Massimo D’Alema ha ripreso la definizione data dall’Economist su Berlusconi e l’ha definito “unfit”, inadatto a governare. Il leader di Sel Nichi Vendola l’ha descritto come “un juke box ambulante delle banalità, che sceglie Marchionne”
Da un estremo all’altro degli schieramenti politici, anche Pier Ferdinando Casini, presidente dell’Udc, ha osservato: “Fa ridere immaginare di mandare Renzi, non Monti, ai vertici dalla Merkel”.
All’interno del Pd, il presidente Rosy Bindi l’ha paragonato a Berlusconi e Beppe Grillo: “Può anche affascinare, come Grillo o Berlusconi, ma alimenta lo sfascio”, e Beppe Fioroni gli ha rivolto un invito: “Faccia bene il sindaco e sistemi il traffico”.
Per restare tra i coetanei compagni di partito, Stefano Fassina, lo bollò come “sindaco per caso ed ex portaborse”, Matteo Orfini disse che “alcune idee di Renzi mi ricordano i paninari”, Debora Serracchiani che “Renzi ha già tutto lo staff di Fininvest con sé”.
Ma tutto questo, sottolinea Carlo Bertini sempre sulla Stampa, è perché Renzi “mette paura”. Per questo D’Alema e Franco Marini hanno chiesto più regole alle primarie, dall’albo degli elettori al doppio turno, per ottenere un vincitore che abbia più del 50% dei voti.
Addirittura Fioroni ha chiesto a Renzi di dimettersi da sindaco entro il 28 ottobre, perché i sindaci di capoluoghi sono ineleggibili in Parlamento se non lasciano l’incarico sei mesi prima della fine della legislatura. “E se Matteo non si dimette vuol dire che corre alle primarie in cerca di visibilità, visto che non è possibile che faccia il premier senza essere parlamentare”.
Mentre il dibattito impazza, Renzi se ne è volato negli Stati Uniti, per assistere alla Convention democratica di Barak Obama. E’ stato invitato dall’ex segretario di Stato Madeleine Albright e da John Podesta, presidente del Center for american progress. In attesa della sfida in patria.
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