Pd, Renzi frenato da scissione: “Ok congresso-primarie ma chi perde…”

di redazione Blitz
Pubblicato il 2 Febbraio 2017 - 22:53 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Le primarie a fine marzo e il voto a giugno. O il congresso in autunno e il voto a febbraio 2018. Al bivio della legislatura, Matteo Renzi apre alla sfida interna per la leadership: primarie o congresso. Il suo obiettivo resta imboccare la prima strada e arrivare alle elezioni entro l’estate. Ma, nelle ore in cui anche un ministro che si professa renziano come Carlo Calenda definisce le urne anticipate “un rischio per il Paese”, il segretario Pd sceglie cautamente di tenere unito il partito.

“La scissione non la capirebbe nessuno”, replica a Pier Luigi Bersani che immagina un “Ulivo 4.0”. “C’è stato chi ha chiesto di fare le primarie, il congresso, il referendum tra gli iscritti – afferma Renzi al Tg1 – Va bene tutto. Però chi perde il giorno dopo rispetti chi ha vinto altrimenti è l’anarchia”.

“Paura di perdere la poltrona? Dimettiti!”, si indigna Matteo Salvini. Mentre i Cinque stelle invocano le urne accusando il Pd di voler “fare melina”. Ma sono molte di più le voci di chi suggerisce di non correre al voto. Dalla minoranza Pd (“Prima il Paese: il Pd non sia il partito dell’avventura”, dice Roberto Speranza), al sindaco di Milano Beppe Sala, dal centrista Maurizio Lupi al forzista Renato Brunetta. “La posizione di Calenda è personale, certo non impegna il governo e il suo presidente”, dice Paolo Gentiloni nella conferenza stampa che segue il Cdm, provando così a stoppare le speculazioni su una possibile manovra dell’esecutivo contro il voto. Graziano Delrio si incarica di sottolineare il proprio dissenso rispetto al ministro che non è del Pd e non parla a nome del Pd, ma è esponente del partito dei tecnici. “I mercati – aggiunge – sono spaventati dall’incertezza, non dalle elezioni”.

Renzi intanto si mostra “zen”, ostenta serenità e all’ora di pranzo rientra nella sua Pontassieve (non è atteso a Roma prima di martedì) da dove rilascia un’intervista serale al Tg1. Quando si vota, afferma richiamando ciascuno alle sue responsabilità, “non sta a me dirlo”. L’importante, ribadisce, è arrivarci parlando “dei problemi delle persone” e della battaglia da condurre contro l’austerity in Ue, non delle beghe di palazzo che danno l’impressione di “giochi da prima Repubblica” né parlare solo del voto quasi fosse una “caccia alle poltrone”.

La sua convinzione, spiegano i fedelissimi, resta il voto a giugno, anche perché al contrario di Calenda pensa che arrivare al 2018 con una legislatura politicamente finita potrebbe provocare uno stallo anche nel confronto con l’Europa, che si rischierebbe di pagare con una manovra lacrime e sangue. Dunque, il tentativo in corso è trovare un accordo politico con la sinistra, i centristi e Forza Italia per correggere la legge elettorale e sciogliere le Camere ad aprile.

L’ipotesi, che farebbe gola anche a Berlusconi, è assegnare il premio alla coalizione. E aiuta anche l’operazione di ricompare il Pd. Renzi, che il sindaco di Firenze Dario Nardella descrive tentato dal non correre più da premier, prova a spuntare le armi di D’Alema aprendo a “primarie e congresso” chiesti da Bersani (qualcuno già ipotizza Calenda come il “nuovo Prodi” o il “nuovo Monti” del suo Ulivo 4.0) o anche al “referendum tra gli iscritti” proposto da Michele Emiliano. Però poi, è la sua condizione, chi perde “il giorno dopo rispetti chi ha vinto”.

Le primarie, nell’ipotesi del voto anticipato, le potrebbe convocare la direzione Pd del 13 febbraio già per fine marzo, ipotizza qualcuno. Molto più difficile indire il congresso prima dell’estate, dunque questo secondo scenario viene considerato in vista di un eventuale voto a febbraio. Ma la minoranza Dem guarda con sospetto all’offerta del segretario: serve un confronto vero perché il partito sia contendibile. Va bene, replicano i renziani: tanto tornerà a vincere Renzi.