Pd, scissione “vorrei ma non posso”. Frondisti a cena, 25 i no al jobs act

Pd, scissione "vorrei ma non posso". Frondisti a cena, 25 i no al jobs act
Pd, scissione “vorrei ma non posso”. Frondisti a cena, 25 i no al jobs act

ROMA – Pd, scissione “vorrei ma non posso”. Frondisti a cena, 25 i no al jobs act. Difficile pensare che la cena di stasera (mercoledì 29 ottobre) organizzata dalla minoranza Pd sarà ricordata come l’atto fondante di un nuovo partito. Fatto sta che dalle parti di bersaniani, Area Riformista di Gianni Cuperlo, Stefano Fassina e insomma tutta la galassia ex Ds si intensificano i contatti, le iniziative di raccordo politico, i tentativi di dare una struttura unitaria per contrastare l’egemonia renziana nel partito e nel governo del Paese. A partire dal voto sul jobs act, la delega sul lavoro che contiene anche l’articolo 18, sul quale Renzi minaccia la fiducia.

Davide Zoggia, ex responsabile Enti locali della «ditta» di Bersani, non solo svela che se non verrà cambiata la legge delega, in base ai suoi «calcoli» ci sarebbero «25 o 30 di noi pronti a non votare il jobs act neanche con la fiducia, ma questo non vorrebbe dire far cadere il governo che avrebbe comunque i numeri per farcela»; ma ammette che il tema della scissione agita gli animi della base in giro per l’Italia più di quanto sia percepito dall’osservatorio della capitale. (Carlo Bertini, La Stampa)

Ma, al di là dell’innalzamento dei toni seguiti al doppio evento che ha plasticamente spaccato in due l’anima del Partito Democratico, San Giovanni contro Leopolda, le intenzioni scissioniste sembrano piuttosto evocate come spauracchio da ultima spiaggia piuttosto che perseguite coerentemente. Il classico “vorrei ma non posso”, registra Carlo Bertini de La Stampa, che ci ragguaglia sui movimenti della sinistra Pd.

Pippo Civati conferma indirettamente: “In verità, io domani (oggi, ndr.) dovrei andare a cena con Filippo Taddei ma credo di non farcela perché ho un altro impegno. A me non mi hanno chiamato, ma è vero, mi risulta che stanno organizzando qualcosa…”.

Un nuovo partito varrebbe tra il 5 e il 10%. Bisogna rispondere ai molti che durante la manifestazione chiedevano come riuscire a restare in un partito che non sentono più il loro. Ma bisogna anche verificare qualche qualche cifra, misurare un ordine di grandezza. Le analisi concedono uno spazio elettorale potenziale per un nuovo partito compreso tra il 5 e il 10%: cioè quanto già irriso da Renzi su quanto si muove a sinistra del Pd, e comunque destinato inesorabilmente ad allearsi al Pd. I dirigenti Pd in sofferenza, poi, sono tutti politici avvezzi al governo e quindi culturalmente allergici al puro impegno di testimonianza, “il dna di molti di noi che non è quello della vocazione minoritaria”.

Gianni Cuperlo non vuol nemmeno sentir parlare di scissione, idem per Ugo Sposetti. Alfredo D’Attore, braccio destro di Bersani, circoscrive il piano d’azione suggerendo che nemmeno al sindacato convengono avventure separatiste: “La scissione sarebbe un regalo a Renzi. Una dirigente della Cgil sabato in piazza ci diceva che il mondo del lavoro chiede di stare al centro di un grande partito, non confinato in una cosa che preservi la sua purezza relegandosi però in un angolo”.

I commenti sono chiusi.

Gestione cookie