ROMA – Ora almeno è ufficiale: le primarie del Pdl non si faranno. L’annuncio arriva da chi, il segretario del partito Angelino Alfano, quelle consultazioni le ha prima volute e poi difese fino all’ultimo, scontrandosi più di una volta con Silvio Berlusconi.
Nel pomeriggio di giovedì, mentre il governo Monti vacilla proprio sotto le astensioni e le minacce di sfiducia del Pdl, e si diffonde la voce di un discorso di Berlusconi alla Camera per “defenestrare” Monti, Alfano ai giornalisti spiega quello che da mercoledì notte e dalla nota in cui Berlusconi raccontava di “pressioni per farlo ricandidare” era diventato ovvio: le primarie il Pdl non le farà, almeno non ora.
E Alfano spiega anche il motivo, come se fosse una cosa “ordinaria”, tipica della vita politica di tutti i partiti: “Anche oggi Berlusconi mi ha espresso la volontà di tornare in campo da protagonista. E’ lui il detentore del titolo”. E ancora: le primarie servivano per indicare il successore di Berlusconi, dato che Berlusconi è in campo, le primarie non servono più. Aristotele direbbe che il sillogismo non fa una piega. La sostanza politica è un’altra: l’ex premier si è ripreso il partito, con o senza consenso del direttivo. Ha forzato la mano con un comunicato notturno che ha di fatto reso superfluo il seguito dell’incontro di Palazzo Grazioli e ha lanciato ad Alfano un segnale chiaro: non c’è ancora spazio per un altro leader.
Alfano, quid o non quid, deve attendere ancora. Forse, sondaggi alla mano, gli conviene. Correre partendo dal 16%, doppiato dal Pd nei sondaggi e con l’incomodo Grillo avanti di qualche punto, sarebbe stata una corsa quasi disperata per un “leader normale”. Berlusconi, evidentemente, si sente qualcosa di diverso.