ROMA – Si fa ogni ora più stretto lo spazio di manovra per Angelino Alfano, dopo la rottura con Silvio Berlusconi. Tanto che una pre-conta tra governativi e fedelissimi del Cavaliere, per capire se esistano o meno spazi per una scissione è già cominciata ancor prima del 16 novembre, giorno in cui è fissato il Consiglio nazionale.
Martedì gli alfaniani diffonderanno una lettera-documento firmata da metà dei membri della direzione nazionale Pdl. Un ultimo disperato tentativo di tenere il punto e provare a tenere unite le sorti del partito.
Nel Pdl si guarda con apprensione al calendario. I prossimi appuntamenti sono segnati in rosso, dal Consiglio nazionale al voto sulla decadenza, passando per la legge di stabilità, sono cruciali per il centrodestra e il suo ventennale leader. Silvio Berlusconi non sembra intenzionato a cambiare rotta: sabato l’azzeramento del partito e il ritorno a Forza Italia, poi la battaglia in Parlamento con il possibile distacco dal governo.
Che la trattativa tra Berlusconi e il suo delfino possa riaprirsi, nessuno più sembra crederlo. Il Cavaliere è imprevedibile, spiegano i fedelissimi, ed è l’ultimo ad avere interesse a una rottura. Ma la sua intervista di domenica è stata tranchant e l’evocare la sorte di Fini un messaggio fin troppo chiaro.
Martedì sera a Palazzo Grazioli potrebbe esserci un nuovo faccia a faccia. Poi Berlusconi dovrebbe andare a incontrare i falchetti, i giovani radunati da Daniela Santanché nella sede del partito. In quelle stesse ore Alfano riunirà i governativi, per decidere la linea da tenere in sede di Consiglio nazionale. Ma a separare i due c’è ancora, come un macigno, il governo delle larghe intese.
Il Cavaliere non nasconde la tentazione di rompere (anche a costo di collocarsi all’opposizione) dopo il voto sulla sua decadenza del 27 novembre, ma eventualmente anche prima, se il 22 novembre dovesse arrivare nell’Aula del Senato una legge di stabilità indigesta all’elettorato Pdl. Alfano resta convinto che non giovi neanche a Berlusconi far cadere il governo sulla decadenza: quella firmata a Letta non è una cambiale in bianco, è il suo ragionamento, era stato lo stesso Cavaliere a tenere separate le sorti sue personali da quelle dell’esecutivo.
La lettera-documento di sostegno al governo Letta servirà a ribadire proprio questo. Un estremo tentativo, sia pur muscolare, per non far saltare tutto ora, ribadendo l’assoluta necessità di non interrompere la vita della legislatura. Gli innovatori, da qui a sabato, le proveranno tutte. Dalla possibilità di non presentarsi al Cn e sancire subito la scissione, dando il via alla formazione di gruppi autonomi, a quella di andare alla conta e sfidare i lealisti a mostrare di avere i due terzi del partito, come sostengono, ipotesi che aprirebbe anche la via a possibili ricorsi e carte bollate. In mezzo, anche la tentazione di provare a far mancare il numero legale.
Di certo questo lunedì è stato un giorno di attacchi fuori dai denti tra i due schieramenti. Ad aprire le ostilità di questa battaglia di avvicinamento al Consiglio è stata di prima mattina Stefania Prestigiacomo: “Lavorare per l’unità significa creare coesione attorno al nostro leader Silvio Berlusconi. Le chiacchiere stanno a zero”. Ma non tutti hanno voglia di tacere. Fabrizio Cicchitto prende carta e penna e dichiara di non condividere la decisione di Berlusconi di dare seguito agli “estremisti” per far cadere il governo: non solo, fa notare, il Pdl si assumerebbe l’handicap di aver provocato una crisi di governo ma “non avrebbe nemmeno un candidato premier: Berlusconi non si può presentare, Alfano è contestato dai falchi, altre candidature non sono maturate”.
“Meglio estremisti nel rispetto degli elettori che estremisti nell’attaccamento al potere” replica la Prestigiacomo. Si combatte invece sui numeri dei due schieramenti il duello che va in scena tra Roberto Formigoni e Maria Stella Gelmini. L’ex governatore annuncia che “in Lombardia dove, ahimè, abbondano falchi e pitonesse, il nostro documento Innovatori ha già raccolto la firma del 40% di membri del Consiglio nazionale”. Immediata la replica della vicepresidente del gruppo alla Camera: “In Lombardia oltre il 70% dei delegati ha scelto di stare con Berlusconi. Formigoni millanta il 40% delle firme che tristezza..” risponde Gelmini.
“Povera stella, la nostra Gelmini, che nella concitazione di questi giorni non sa più fare i conti. Ma – ribatte Formigoni – poiché noi abbiamo il 40%, loro non piu’ del 60%..”. Insomma, al di là del battibecco, l’incertezza su quelli che potrebbero essere i numeri sabato è al momento tale da lasciare ancora aperta la strada a soluzioni diverse dalla conta.