ROMA – Una crisi precipitosa, come lo scontento del Pdl suggerisce? Mario Monti lascia calmare le acque e Giorgio Napolitano evita il “tutti a casa” in extremis con un messaggio che nelle intenzioni dovrebbe spronare alla compattezza: “Evitare una convulsa conclusione della legislatura”. L’antefatto è presto detto. Il Pdl, ovvero il partito che numericamente compone la fetta più consistente della maggioranza governativa, ha progressivamente profilato una “quasi crisi” nel confronti del governo. Un bubbone maturato soprattutto dopo le dichiarazioni di Corrado Passera che in tv, giovedì mattina, ha detto che un ritorno di Berlusconi farebbe tornare indietro l’Italia.
Il primo round è stato giovedì mattina al Senato. I senatori del Pdl si astengono sul voto sul decreto legge sviluppo. Non è un voto contrario, il partito non ha fatto mancare il numero legale, ma un’astensione. Secondo round, ovvero lo stesso copione alla Camera. Fabrizio Cicchitto, capogruppo Pdl a Montecitorio, annuncia che anche alla Camera il Pdl si asterrà. Non si illuda Monti, è il succo della nota diffusa da Cicchitto, non si tratta di un’astensione circostanziata al provvedimento in votazione, ma una protesta sulla politica economia del governo. Si segnala l’annunciato voto favorevole di Franco Frattini, in dissenso con il suo partito, che spiega: “E’ un momento difficile dal punto di vista personale”.
Ed eccolo che si profila lo spettro: crisi di governo. Crisi non ancora esplosa, il governo non è andato formalmente “sotto” con i numeri. Ma crisi che cova sotterranea e che fino a metà pomeriggio lasciava a Monti due possibilità. Salire al Quirinale per discutere la questione con Napolitano o lasciar correre. Ha preferito la seconda opzione (“Pdl? Attendo le valutazioni del capo dello Stato, non ho in programma di andare al Quirinale”) e un aiuto decisivo gli è arrivato dal Presidente. Che, di fatto, lo ha confermato al suo posto: “La tenuta istituzionale è fuori discussione”. Avrebbe potuto, Napolitano, percorrere la via ortodossa, ovvero rimandare Monti davanti alle Camere per il voto di fiducia e vedere a quel punto come si sarebbe comportato il Parlamento. Con il rischio concreto che la crisi di governo ci fosse davvero.
Ma cosa significherebbe una crisi ora, dicembre 2012? Significherebbe andare al voto con i lavori interrotti su due nodi principali. Ovvero la legge di stabilità interna, quella che una volta si chiamava manovra, che decide come spendere i soldi (pochi) per l’anno che arriva, e il fiscal compact, ovvero quel trattato che obbliga i Paesi al pareggio di bilancio e che forma le regole base per la prossima politica economica europea. Insomma, “elezioni ora” significa un’indeterminatezza che non possiamo permetterci. Significa, di fatto, andare al voto senza protezione della Bce.
Lasciare le cose come stanno potrebbe essere un’opportunità anche per tutte le forze politiche. Chi si prenderebbe la responsabilità di aver fatto saltare il governo? Non il Pdl, che infatti dopo le parole di Napolitano e Monti, per bocca del coordinatore La Russa, fa sapere: ”Oggi non c’è la fiducia ma la maggioranza c’è ancora. Non saremo noi a mettere in ginocchio il governo dato che c’è la legge di stabilità da fare”.
Andare avanti, quindi, ma per quanto? Domani, solo domani, potrebbero esserci mille occasioni di inciampo. Oggi il decreto sviluppo, nei prossimi giorni, ad esempio, la legge sull’incandidabilità che nella sua forma attuale prevede che chi ha condanne a 4 anni o più decada automaticamente se eletto. Potrebbe essere il nodo delle elezioni politiche e regionali, che il Pdl vuole accorpate tanto da aver minacciato, per bocca di Berlusconi solo due giorni fa, la crisi di governo. Insomma, oggi potrebbe passare indenne, ma domani?
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