Pdl, strappo con Monti: “La riforma del lavoro va cambiata”

Il premier Mario Monti

ROMA – Il Pdl ha deciso che così com’è la riforma del lavoro non va. E’ un’impuntatura non da poco, perché significa che l’accordo non scritto tra i 3 segretari Alfano-Bersani-Casini e Mario Monti è già morto ai primi passi del disegno di legge in Commissione al Senato. Ecco la nota ufficiale diffusa dopo una riunione in via dell’Umiltà, sede del partito: “Nella discussione è emersa grande preoccupazione per lo sbilanciamento complessivo del provvedimento, condizionato da ingessature e rigidità in entrata, e che ha già ricevuto una sostanziale battuta d’arresto nell’esame dei mercati e della stampa internazionale”. Ecco dunque cosa non piace al partito di centrodestra. Quei ritocchi alla flessibilità in entrata, ovvero i paletti che il disegno di legge mette ai contratti precari. Ovvero: quell’aliquota più alta (all’1,4%) a chi si serve di contratti a tempo determinato, la revisione delle partite Iva in modo da non mascherare rapporti di lavoro subordinato, la stretta sui contratti di associazione in partecipazione. Tutte cose che da sempre piacciono poco a Confindustria, accettate solo in nome dei ritocchi alla flessibilità in uscita e quindi all’articolo 18.

Insomma, fino a pochi giorni fa l’accordo tra partiti e parti sociali si reggeva su questo difficile compromesso: il governo mette mano ai contratti precari chiedendo alle imprese qualche sacrificio e al centrodestra un sì di massima. In compenso ritocca l’articolo 18 e rende un pochino più facili i licenziamenti economici. Ma in una formulazione talmente blanda che accontenta sindacati e Pd, molto meno le imprese. Che infatti si fanno sentire per bocca di Emma Marcegaglia che boccia la versione finale del disegno di legge facendo irritare non poco Monti.

Questo accadeva qualche giorno fa. Come mai il Pdl rompe oggi? Ci sono sicuramente spiegazioni “tecniche”: l’iter in Commissione Lavoro del ddl è iniziato solo mercoledì mattina, poche ore dopo il Pdl si è riunito. Ma è successo anche che i mercati si sono ribellati (e lo spread è tornato a impennarsi) proprio quando Monti ha “ceduto” sull’articolo 18, trovando una formulazione sì di compromesso ma che di fatto annienta qualsiasi cambiamento in materia. E soprattutto quando sono iniziati i battibecchi a distanza tra premier e Confindustria. Dal momento di difficoltà di Monti il Pdl non ha che da guadagnare. Magari ricucendo con la Confindustria con cui, dai tempi del governo Berlusconi, l’idillio s’è incrinato. Non a caso la controproposta del Pdl verrà formalizzata giovedì, ossia dopo l’incontro previsto con i rappresentanti del mondo delle imprese.

Quanto alla riforma del lavoro le domande più urgenti sono due. La prima: visti gli anticipi, cosa resterà del ddl dopo il passaggio in Commissione e la discussione in Aula, ovvero tra qualche centinaio di emendamenti? Ma soprattutto: se il Pdl scalcia e il Pd sbuffa, chi lo voterà?

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