Il piano per dimezzare le province. Ma il Parlamento frena e la Consulta…

ROMA – Il piano, sulla carta, esiste. Un piano che prevede una radicale cura dimagrante per le province italiane: dimezzate, accorpate e svuotate nelle funzioni. Il tutto anche  a costo di produrre piccoli “mostri di campanile”, come l’accorpamento della provincia di Pisa e Livorno, che è un po’ come cercare di fondere insieme Inter e Milan per farne un’unica squadra di Milano.

Racconta Sergio Rizzo sul Corriere della Sera e il quotidiano allega una mappa dell’Italia post taglio, che con il piano le province verrebbero sostanzialmente dimezzate: in Toscana “sopravviverebbe” di sicuro solo Firenze, in Sicilia verrebbero cancellate 7 su 9, il Lazio “perderebbe” Rieti e Latina. Il condizionale in questi casi è d’obbligo: tra l’idea e il fatto, infatti, passano un decreto ancora da scrivere, gli inevitabili ricorsi, le lentezze del Parlamento e il vaglio della Corte Costituzionale.

Se taglio sarà sarà in base a tre criteri: via tutte le province che non rispettano due dei tre seguenti requisiti: un minimo di 350 mila abitanti, un’estensione di almeno 3000 chilometri quadrati e un numero di comuni di almeno 50. 

Contro l’idea che alla fine il taglio ci sarà davvero è prima di tutto la storia  (abbastanza recente) della politica italiana: storia che dimostra che il taglio delle province è brandito come arma politica in campagna elettorale e di fatto sparisce quando al governo ci si arriva. Anzi, semmai, le province in tempo ordinario tendono spontaneamente a moltiplicarsi, come per mitosi.

Storia di un’abolizione impossibile. Di tagliare le province parla Silvio Berlusconi nella campagna elettorale del 2008. “Inizieremo dal tagliare le province”, l’annuncio nel salotto tv di Bruno Vespa. Poi Berlusconi le elezioni le vince, ha una maggioranza record ma di tagliare le province non se ne parla più. La motivazione dello Stesso Berlusconi è che la Lega “non vuole”. Lega che, ovviamente, in campagna elettorale si era ben guardata dal dirlo. Anzi: le camicie verdi ne propongono anche di nuove, come quella della Valcamonica con  possibile capoluogo Breno, paese di 5.014 abitanti.

Poi è arrivata la scure di Monti che lettera della Bce alla mano ha deciso di riprendere in mano il discorso nel taglio, previsto nel famoso decreto Salva-Italia. La strada, racconta Rizzo, è in salita anche in questo caso: da un lato c’è il Parlamento che va col freno a mano tirato (c’è persino chi ha sollevato un problema surreale: tagliarle costa troppo). Soprattutto c’è la questione della Corte Costituzionale: le province in odore di taglio fanno ricorso, la Costituzione prevede le province e se non si cambia è facile che il ricorso lo vincano loro. Per questo c’è già una data, il 6 novembre.

Di certo, per ora, c’è quindi la drastica riduzione delle funzioni delle Province. Un vero e proprio piano B come lo definisce Rizzo che spiega: “Da attuarsi forse con decreto legge, in parallelo alla revisione della spesa, che potrebbe contenere anche una micidiale pillola avvelenata per tutti gli enti locali. Ossia il divieto alla costituzione di nuovi enti o società per funzioni che può svolgere direttamente l’amministrazione. Per evitare rischi di ricorsi alla Consulta il piano B prevede che le Province mantengano tre funzioni quali strade, ambiente e gestione delle aree vaste”.

 

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