Era annunciata, forse anche inevitabile, ma la candidatura di Beppino Englaro a segretario della Lombardia per il Pd, non manca di sollevare qualche interrogativo.
Il padre di Eluana si è schierato con convinzione e senza tentennamenti per il chirurgo Ignazio Marino, l’outsider che contenderà a Bersani e Franceschini la leadership del partito. La mozione Marino sembra avere una sua precisa “ragione sociale”: promuovere la laicità come metodo e finalità all’interno di un partito che possa affrontare in senso moderno – e senza ingerenze antiscientifiche o clericali – le sfide della bioetica e la nuova configurazione dei diritti individuali che ne deriva.
Englaro è socialista da sempre ma la sua partecipazione alla battaglia politica nel Partito Democratico la deve alla sincera stima che nutre nei confronti di Marino, con cui – afferma – «può iniziare una fase nuova, semplice e diversa».
Qualcuno tra i big del partito – vedi Rutelli – ha qualche riserva di tipo elettorale («Englaro sposta il partito troppo a sinistra»): ma qualche perplessità appare più legata alla modalità di reclutamento della classe dirigente.
Il bravo Englaro – la sua battaglia per interrompere l’alimentazione forzata della figlia in coma è stata più che apprezzata e condivisa sul fronte progressista – non può affermare a cuor leggero «non sono una bandiera». Lo è eccome, altrimenti non sarebbe stato scelto per una candidatura cruciale come la segreteria in Lombardia e se per caso non lo fosse, quali altri titoli potrebbe vantare per aspirare ad un incarico così delicato?
Il rischio è quello di offrire un profilo troppo marcato, nel marketing lo si chiamerebbe un “brand”, un marchio riconoscibilissimo ma riduttivo per l’azione di un politico di vertice: potrebbe essere identificato, magari a torto, come colui che detiene il monopolio esclusivo di temi come l’eutanasia, la bioetica ecc., temi che per forza di cose devono avere il margine più ampio possibile di discussione.
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