Province, tagliarle vale 11.300 posti in più in asili nido. Il sogno di Delrio

Graziano Delrio
Graziano Delrio (foto LaPresse)

ROMA – Tagliare le province e farlo presto consentirebbe di creare 11.300 posti in più negli asili nido. Stima della Bocconi cui si aggrappa il ministro Graziano Delrio e stima relativa alla sola punta dell’iceberg dei costi, quella dell’indennità dei 4200 politici collegati, presidenti e consiglieri.

Ma più che numeri concreti, per ora, quelli cui si aggrappa il ministro sono numeri di un libro dei sogni. Fino ad oggi, infatti, chi ha provato a tagliare le Province ha fallito fermato dalle resistenze di chi nelle province fa carriera politica e soprattutto dalla Corte Costituzionale. Ha fallito, per esempio, Mario Monti che sulla “riorganizzazione” delle province ha riempito per mesi le pagine dei giornali. Poi è arrivata l’inevitabile sentenza: sono enti costituzionali e vanno, casomai, aboliti con riforma della Costituzione.

Delrio ha in mente tempi diversi: fare tutto entro Natale. Un sogno, appunto. Visti i precedenti e le resistenze. Perché anche sulle cifre del presunto risparmio c’è contestazione frontale da parte dell’Unione delle province italiane.

Eppure il ministro è convinto e nella mattinata del 4 novembre spiega:

“Se non si approva la riforma entro fine anno, si rischia il rinnovamento dell’80% delle amministrazioni in primavera, se la riforma non viene approvata entro dicembre, vuol dire che non la si vuole fare”

Ma quali cifre? Per esempio quelle dei costi della politica: i politici delle province costano 113 milioni  e 600 mila euro. Soldi che il ministro Graziano Delrio, solo per fare un esempio immagina e sogna riconvertiti in posti all’asilo: oltre 11mila. Ma soldi che, sempre secondo Delrio, potrebbero essere investiti anche in altre opere come interventi sul dissesto idrogeologico del Paese. Tutto ammesso e non concesso che passi, nei tempi indicati dal ministro, ovvero entro Natale, il suo disegno di riorganizzazione delle Province.

Impresa non facilissima visti i precedenti, le resistenze e i soldi che ballano. Sempre secondo l’analisi della Bocconi, infatti, le sole spese correnti delle province sono circa 2, 3 miliardi di euro. Non tutti “aggredibili” visto che il 43% riguardano stipendi di dipendenti che verrebbero non tagliati ma ricollocati in altri enti. Restano però più o meno  1,35 miliardi di euro.

Ma le cifre che “condannano”  le province sono anche altre a cominciare da quelle indicate dal Sose  (Soluzioni per il sistema economico). Una ricerca della società di consulenza e servizi controllata dal ministero dell’Economia e dalla Banca d’Italia, nel solo anno 2012 ha stimato per la spesa di beni e servizi delle Province un tasso di inefficienza pari al 31,44 per cento. Risparmio possibile in conseguenza del taglio, secondo il Sose: 2 miliardi 612 milioni di euro a fronte di una massa di risorse pari a 8 miliardi 297 milioni.

Ma come scrive Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, la questione cifre è tutt’altro che “pacifica” e i difensori delle Province, Upi su tutti, contestano e non mollano:

Dalle sole spese per gli organi istituzionali, le consulenze, le collaborazioni e i contratti di cosiddetto «global service» si potrebbero recuperare oltre 553 milioni, considerando una inefficienza addirittura superiore. Pari in questi campi, secondo Sose, al 55,36 per cento. Per tutta risposta, l’Unione delle Province argomenta che l’aumento dei costi colpirebbe settori nevralgici, come quello delle scuole. Dice l’associazione guidata dal democratico presidente della Provincia di Torino Antonino Saitta che la spesa per riscaldarle, una volta che la funzione venisse trasferita ai Comuni, lieviterebbe del 53 per cento: 424 milioni in più. Opposta la tesi del dossier Delrio, che porta alcuni esempi. Come un paragone fra le scuole gestite dalla nuova Provincia di Fermo e dai Comuni che la compongono: considerando tra l’altro che metà delle scuole «provinciali» si trova proprio nella città di Fermo. Comune che spende per riscaldare i propri plessi scolastici 7,48 euro al metro quadrato contro gli 8,55 della Provincia. La differenza è del 13 per cento, che però sale al 28 per cento se si prende in esame il dato del Comune più virtuoso.

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